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Se fossimo tutti anime

Come il tempo che non comanda l’uomo. Un vortice, un uragano che genera tempesta e sole. Una tempesta di nebbia chiara, di nebbia amata, conosciuta, ma consapevole che potrebbe nascondere altro sole o altra pioggia. E, tu, che fai? La affronti. Pensi di essere preparata. È possibile essere più preparati del tempo stesso? È possibile soffiare, come sulla copertina di un libro dimenticato, e riconoscere in un attimo il libro che più hai amato? Sì. Scoprire che ricordi ogni pagina e che, per anni e anni, l’hai lasciato lì, da qualche parte. Avevi paura di aprirlo? Avevi paura di scoprire altre parole in una storia che ormai conosci a memoria? Sai che ti fa piangere, che ti fa tremare, che semina tempeste di sabbia nella tua casa e nelle altre case del tuo cuore. E, tu, che fai? La affronti, di nuovo, ancora.
C’è un limite alla speranza? Sì? No?
C’è un limite persino se sei tu stesso ad esserti arreso?
No. Non c’è un limite. Allora, che fai? Pensi che le stesse cose che hanno causato più dolore, siano le stesse cose che possano guarire quel dolore: le parole. Davvero siamo disposti a perdere tutto? Davvero ci siamo abituati che quel tutto non sia niente e che possiamo farne a meno? Davvero la vita può ridursi a questo? Sì, può farlo, e tu puoi farlo, con lei… William Shakespeare scriveva che Siamo venuti al mondo come fratello e fratello, e ora andiamo di pari passo, non uno prima dell’altro. Basterebbe così poco. Basterebbe pensare, per una volta, che tutto il vomito esistenziale che ci ha causato l’altro possa in parte essere anche colpa nostra, non solo ma anche
Piegarti sulle ginocchia cosa ci ha insegnato? Ci pieghiamo sulle ginocchia rivolte a un Dio che ci chiede di obbedire ad altre leggi, Gli promettiamo di esserGli devoti, e non amiamo l’altro come amiamo noi stessi. Oppure sì? Forse siamo così rigidi con l’altro perché non riusciamo ad amare neanche noi stessi? Ho ricordi di catechismo, tocco e sfioro la filosofia e la matematica, mi appassiona l’astronomia e la confusa galassia di cui vorremmo fare parte.
Ma tu, fratello, tenderai la mano prima di dire addio? O era davvero un addio?
Tu, sorella, accoglierai la mano sentendoti finalmente amata? Riuscirai a non graffiare il tocco incerto?
Io, da piccolo essere inutile, sono mai riuscita a compensare quel dolore? Potevo fare di più? Sicuramente. Ma io sono figlia del mio tempo e della consapevolezza di non essere perfetta, di non essere abbastanza.
Se tornassi indietro, cosa farei?
Griderei più forte?
Pregherei di non usare parole acerbe e sicuramente non volute dal vostro Dio?
Sì, forse lo farei. Ma cosa conta adesso, in questa lettera in cui sono distesa come se mi prendessi un attimo il respiro che non sento. Contano i giorni. Domenica, poi Lunedì e, dopo, di nuovo martedì.
Vuoi farli passare ancora quei giorni?
Vuoi ricordare quello che ti è stato fatto e dimenticare quello che hai fatto?
Vuoi ricordare quanto sei stato amato?
Vuoi prendere quella mano che graffia e che teme il mondo perché il mondo, un tempo, l’ha dimenticata?
Ha saputo chiedere amore nel modo giusto? Forse no.
Ha saputo essere lieve sospiro di attesa? No, è stata vortice e grida, è stata vento e tempesta e, in ogni ramo strappato, nessun sole ha capito come potere portare in salvo quelle stanze chiuse del suo cuore.
Le stanze rotte possono essere abitate solo da chi le ha distrutte; possono essere amate solo da chi può ricostruirle. Le stanze rotte hanno cicatrici di cemento e vento, creano muffa e ristagno, ma se apri tutto, se spalanchi quelle finestre e ti siedi con un po’ di colore, diventano quadro, rima e poesia e, in quelle crepe, ti risanano il cuore. Tu, hai ancora una stanza vuota? Hai una stanza da colorare? Una stanza in cui ospitare? Hai una stanza in cui non ci siano rami secchi? Una stanza in cui accoglierla e piegarti al maggiore ruolo dei tuoi anni e, per un attimo, placare rabbia, giusto o ingiusto ricordo e stendere un colore nuovo, diventando abbraccio di sangue e lacrime tra travi e chiodi, fra finestre rotte e vento gelido. Tu, vuoi darle l’ultimo abbraccio? Dai neonati pianti, ai silenzio assordanti, hai mai desiderato ancora la sua compagnia? Vuoi amarla del fraterno dono che Dio ti ha messo lì, da qualche parte, nelle parole che non dici, in quelle che hai imparato a non ascoltare, persino in quei gesti carichi di disappunto e giudizio che, forse, nascondono solo l’unico modo in cui riesci a vivere, così come ognuno di noi ha il proprio. Io vorrei andare contro il mondo e contro tutti e, a dispetto del dolore che rischia di risvegliarsi ancora più intenso nel varcare quella porta, spero che quella stanza in qualche modo, tu, la stia preparando nei tuoi silenzi e che possa essere pronto tu stesso, a non cogliere, non raccogliere, a tendere le braccia anche se davanti a te le lacrime saranno quasi gelide e tenderanno a tagliarti, a graffiarti come stalattiti. Tu, sarai abbastanza forte da avere un cambiamento che comporti l’accoglienza, il ritrovarsi, il potere salvifico di un ti voglio bene. L’hai mai detto? Hai mai amato chi era diverso da te? Tu, ti sei mai liberato dalla perfezione del tuo operato, che nei tuoi traguardi ti fa solo onore, per scoprire il piacere e il sollievo del momento stesso in cui abbandoni tutto il resto e vedi per una volta, per una sola volta, che sapore abbia il mondo, di che genere di felicità gli altri siano capaci di renderti partecipe. Tu che faresti a quella bambina che ha lasciato un soldino sul comodino per chiedere un abbraccio prima di dormire? Sei sicuro di non poterla amare? Io credo che sarebbe possibile vivere così, liberi di arrenderci al presente. Liberi di non dovere difendere le tesi di un passato in cui tutti, nessuno escluso, siamo perdenti, sconfitti artefici di uno stesso destino che, nella divisione, rappresenta la nostra sconfitta. Io credo che sarebbe possibile impegnarsi a salvarci e a salvare altre parti di noi in giro per il mondo. È il momento. È il momento di scendere quel gradino, di ritrovare chi ti ha amato da tutta la vita arrivando persino a odiarti, perché solo chi ama è capace di odiare. Victor Hugo scriveva che quanto più piccolo è il cuore, tanto più odio vi risiede, e io cerco di farmi il cuore grande, ma mi sembra che più apro le porte a chi mi fa del male, più è il mio di cuore a diventare piccolo. Questo posso anche accettarlo, ma non per lei. Lei è l’essenza della solitudine tanto quanto è l’essenza della perfezione ai miei occhi. È un riferimento per chi ha cercato conforto. È il primo stadio dell’amore e l’ultimo della disperazione; lei, che ha creato ed è stata due famiglie in una e che nell’ultima è stata amata per cento di tutte le famiglie che avrebbero potuto amarla, sì, lei, potrai amarla ancora senza trafiggerle il cuore?
Temo il giorno più della notte, fratello mio.
Temo che questa gioia nuova consegni al mio dolore un motivo per ridestarsi, per raccontarsi.
Temo, l’ennesimo colpo di vento, violento. Temo di non trattenere abbastanza a lungo il respiro.
Temo che quel soldo sul comodino non sia abbastanza, ma anche da questo dolore mi saprò salvare.
Anche dopo questo dolore, in quella stanza, io ti saprò sempre amare.

–  Charlie: Saremo per sempre fratelli.
Sam: Promesso? Ogni giorno? Col sole o con la pioggia? Col caldo o col gelo?
Charlie: Promesso.”

Elezioni 2022 – Prepariamoci con I Furbetti del Parlamento di Mauro Di Gregorio

Le elezioni del 25 settembre 2022 sono alle porte, va da sé che l’Italia si divide in due grandi correnti di stanchezza: chi ci crede ancora ma stenta e chi non ci crede più. Esiste un modo per salvare ancora chi è nel limbo borderline tra le due correnti? Credo di sì. Una lettura potrebbe aiutarci a rispolverare stratagemmi, linee di pensiero, vecchi e nuovi strumenti che hanno fatto la politica in ogni tempo. I furbetti del parlamento del giornalista Mauro Di Gregorio ci trascina in una satira pungente che abbraccia destra, sinistra, correnti e federazioni di correnti. In un rocambolesco gioco grafico, l’autore ci mette la faccia, atto di dovere in un mondo in cui la convenienza impone il gioco dell’anonimato per giustificare cambi di casacca per accaparrarsi consensi e posti in paradiso, soprattutto alle porte delle elezioni 2022 in un contesto mondiale che, dalla pandemia alla guerra in Ucraina, dividono l’elettorato facendo leva su intolleranze personali, antipatie, reminiscenze, posizioni che spesso non hanno che substrati di convenienza. Chi può salvarsi? Cos’è davvero la politica? Guardare le cose per quello che sono, significa rinunciare a lottare? Non crederci più? Non votare? Tutt’altro. Il messaggio de I Furbetti del Parlamento è chiaro e conciso ed è riportato proprio nelle conclusioni del libro:

«Non si confonda, insomma, il cattivo filosofo con la filosofia, il cattivo prete con la fede, il pessimo attore con il testo teatrale. Si impari a distinguere le cose o il rischio è quello di scadere nel qualunquismo».

190 pagine apprezzate dalla critica, accanita nel capire quanto possa essere ancora importante il parare dell’elettore in una matassa di giochi di partito ormai impossibile da dipanare. Un servizio al TGR Sicilia ci presenta il lavoro di Mauro Di Gregorio, attenzionando il filo conduttore bipartisan in un periodo di campagna elettorale permanente.

 

Per acquistare il libro clicca qui

In un panorama affascinante accolto a Sambuca di Sicilia, Borgo dei Borghi 2016, la Pro Loco Sambuca ha curato la presentazione del libro dando vita a un piacevole e intenso dibattito che ha appassionato una delle serate del ricco calendario Estate nel Borgo. Il presidente della Pro Loco Maria Gabriella Nicolosi e il Consigliere Enzo Sciamè moderatore della serata hanno dato vita a un piacevole evento tra letture, interventi e costruttivi dibattiti

La stella Gisella

La stella Gisella non aveva dubbi d’essere bella. Brillava di perfetta luce riflessa e tutto il mondo la stava a guardare. Nessuno sapeva perchè col sole in fronte fosse così bella, eppure esisteva quella parte del mondo che grazie al sole vedeva una stella.  Un primo giorno d’inverno, Osvaldo cacciatore di stelle partì con catene ribelli per raggiungere Gisella e spegnere quella luce che la rendeva così bella

Un bambino di nome Paolo nella casa al di là del lago, riconobbe quel carro e fuggendo scappò lontano. Non avrebbe permesso che Osvaldo catturasse Gisella, altrimenti quale notte sarebbe più stata bella? Era certo e senza paura. Aveva deciso. Il suo sogno sarebbe stato la cura. Fu così che, trovata la nuvola più soffice, Paolo si addormentò trapunto di cielo e di vento. Sognò con tutto se stesso che, sorretto dal vento e dal sole, potesse trovare Gisella, prima di Osvaldo il gran cacciatore.

Fulmini, saette, lampi nel cielo. Tutti ricordano in ogni dove la magia che nel cielo fermò il cacciatore. Solo un sogno fermò Osvaldo. È il segreto di ogni gente, delle favole che nascono dal niente. Quando guardi Gisella, la stella più bella, non dimenticarti chi l’ha salvata. Chiudi gli occhi, rallegra il sorriso e impara a sognare, perchè nessuno il mondo può salvare, se lui stesso non impara a sognare

La sindrome di Stendhal – Catherine BC

Ho iniziato a leggere questo racconto pensando che sarebbe stata una delle tante letture ed ecco invece, che come travolta da un destino contro cui è impossibile combattere, mi sono arresa a un fascino letterario che non subivo da molto tempo. Incantevole l’uso della parola che risulta talmente ricercato, tanto da creare un effetto melodico. Avvinti come da una musica proveniente da un antico giradischi, incantati dall’eleganza della parola come forma del linguaggio e come espressione dell’umano sentimento, il lettore si trova catapultato nella storia, nell’arte e in uno stato emozionale di cui è vittima sublime. L’effetto più sorprendente di questo piccolo capolavoro di Catherine BC è che non sono riuscita a staccarmi dalla lettura fino a che non l’ho completata. Sono diventata ospite di quelle stanza, di quei saloni, di quella Parigi intensa e cortese. Non da ultima, la storia d’amore che in poche pagine risulta talmente intensa, tanto da sentire ciò che sentono gli stessi protagonisti, tanto da emozionarsi, sperare, chiudere gli occhi e tendere la mano per sfiorare quelle pagine che creano un amore indimenticabile, intenso, forte. Meraviglioso il cenno alle paure dell’essere umano che umanizza il contesto e rende i protagonisti indispensabili l’uno all’altra. Memorie di un passato che torna vivo. Emozioni di un presente rivelatore che scandisce poche ore indispensabili per la costruzione di un futuro che non teme di essere vissuto. Applausi alla scrittrice che ha reso la parola serva e regina dell’arte e del cuore

Dove trovare il racconto

La sindrome di Stendhal su Amazon

Il coraggio di non avere paura – Piper, il cortometraggio Pixar

Piper è uno dei cortometraggi della Pixar che nessuno dovrebbe perdere. Chiunque in questa vita ha avuto paura di qualcosa e, ancora peggio, ha vissuto qualcosa che gli ha lasciato addosso il ricordo della paura: un’esperienza, un fallimento, un sogno infranto, una risposta che non aspettavamo, una caduta più brutta delle altre. Tutti. Ognuno di noi. Il piccolo protagonista di questo cortometraggio ha paura del mare e, dal mare, si tiene a debita distanza. Resta solo, al sicuro, lontano da quella schiuma, da quei cavalloni, dall’infrangersi di qualcosa che gli altri non sembrano temere. Poi si prende di coraggio. È un attimo. L’onda lo travolge, lasciandogli addosso ancora più paura di prima. Che abbia sbagliato a provare? Oh, no! Assolutamente no. Chiunque provi nella vita, ha già vinto, anche se uno dei tanti tentativi gli lascia addosso tanta di quella paura, che si chiede perchè non sia stato così furbo da starsene al sicuro, lontano dalla riva, dove niente potesse fargli del male. E allora la vita che cos’è? Che vita è se non tentiamo, se non ci spingiamo oltre, se non tremiamo così tanto dalla paura, tanto da sembrare bloccati, fermi, immobili? Arriva un momento nella vita in cui ci chiediamo quale sia il nostro posto del mondo e, che ci crediate o no, c’è un senso nella vita di ognuno di noi. Quel senso si trova proprio là, al di là della paura. Non importa quando riuscirete a superarla. Non importa quando sentirete di potercela fare. La vita è il momento in cui attraversiamo qualcosa armati di coraggio. Ma non dovrete mai perdere la speranza, perchè anche se una volta arrivati a destinazione arrivati a destinazione, sentiremo di avere trovato la risposta sbagliata, saremo sempre in tempo a ripartire per un altro viaggio. Il viaggio è la meta e la vita, la vostra vita, è il viaggio attraverso la paura, armati di coraggio. L’importante è crederci sempre, non arrendersi mai, perchè non esistono persone più belle dei sognatori

Nuvole bianche – Nasce il giorno e il nuovo fiato

Nuvole bianche scaldano l’inverno nuovo e si dimenticano di lei, sul ciglio del sole; abbandonata, libera, come senza vento, senza notte; bianca come il cielo di luce, che occhio umano non può vedere. La musica incalza e corre, corre senza passi. Non ha gambe, nè ali, solo piedi di vento. Si poggia su di te, nuvola sospesa. E’ una musica sublime, senza tempo, nè confine. Si sposa al cuore, raccontando alle ferite, la saccenza di un amante che, testardo e innamorato, soffia forte su quel cuore, presuntuoso di risposte e soluzioni. Il giorno non è pieno e non è caldo, non è freddo e non è vuoto. Mezzogiorno leva il tempo del ricordo. Si ferma ancora il vento, lontano, incontrollato; ricaccia prepotente ogni nome e ogni niente. Si avvicina. Non la guarda, ma sospira e, lento, avanza. L’accarezza promettendole che niente sarà più solo ricordo, ma ha paura, lei, non sente. Non concede il suo respiro. Fugge ancora. Poi ci pensa, circondata da quel mezzo cielo bianco. Mezzogiorno è alto in cielo. Lento brucia ogni dolore. La corteggia. Non si arrende, ma lei fugge sorridendo. Forse è presto, si distende. Io ti salvo, lui risponde. Un profumo di bambagia. Una nuvola che soffia, fra le vesti, prepotente. È l’amore, che sorprende e non si arrende che combatte anche il passato, lo combatte col presente. Ogni angolo smussato, dai dolori levigato, si concede in un istante a quel sogno, finalmente. In un attimo è leggera, una nuvola anche lei, fra le nuvole, anche lei… Tutto sfiora la sua pelle. Non c’è veste, nè materia; la memoria è leggera e, nel cielo, si fa sera. Non la lascia. Non la perde. Lui la ama. Lei lo sente. Chiude gli occhi. Sente il tempo, le rincorse, le risate e ogni attimo è certezza. Cielo, monte, mare e ambrosia. Si trasforma in un istante… poi incanto… e promesse… e sorrisi sulla pelle. Lei non teme più il passato. Si distende sul dolore, nasce il giorno e il nuovo fiato. Seni, liberi e ruffiani, nel disegno complicato che  dal monte fino a valle, sfiora e scivola sul ventre e, ubriaco di sapore, lascia entrare primavera, che schiudendosi all’amore, si concede alla delizia, al concerto dell’intesa. Or distesi al nuovo sole, è un incanto, un incanto il loro amore

Non esiste amore sprecato – Roberto Benigni

Il tempo passa e il problema fondamentale dell’umanità da 2000 anni è rimasto lo stesso: amarsi. Solo che ora è diventato più urgente, molto più urgente… e quando oggi sentiamo ancora ripetere che dobbiamo amarci l’un l’altro, sappiamo che ormai non ci rimane molto tempo. Ci dobbiamo affrettare, affrettiamoci ad amare. Noi amiamo sempre troppo poco e troppo tardi. Affrettiamoci ad amare, perchè al tramonto della vita saremo giudicati sull’amore, perchè non esiste amore sprecato e perchè non esiste un’emozione piú grande di sentire, quando siamo innamorati, che la nostra vita dipende totalmente da un’altra persona; che non bastiamo a noi stessi e che tutte le cose, ma anche quelle inanimate come le montagne, i mari, le strade, il cielo, il vento, le stelle, le città, i fiumi, le pietre, i palazzi… tutte queste cose, che di per sè sono vuote, indifferenti, improvvisamente quando le guardiamo si caricano di significato umano e ci affascinano, ci commuovono… e perchè? Perchè contengono un presentimento d’amore. Anche le cose inanimate. Perchè il fasciame di tutta la creazione è amore e perchè l’amore combacia con il significato di tutte le cose: la felicità. Sì, la felicità.. e a proposito di felicità… Cercatela, tutti i giorni, continuamente… e anzi, chiunque mi ascolti ora, si metta in cerca della felicità ora, in questo momento stesso, perchè è lì, ce l’avete, ce l’abbiamo. Perchè l’hanno data a tutti noi. Ce l’hanno data in dono quando eravamo piccoli, ce l’hanno data in regalo, in dote ed era un regalo cosí bello che l’abbiamo nascosto, come fanno i cani con l’osso, quando lo nascondono; e molti di noi l’hanno nascosto cosí bene che non si ricordano piú dove l’hanno messo, ma ce l’avete, ce l’abbiamo. Guardate in tutti i ripostigli, gli scaffali, gli scomparti della vostra anima, buttate tutto all’aria: i cassetti, i comodini che avete dentro… vedrete che esce fuori, c’è la felicità. Provate a voltarvi di scatto, magari la pigliate di sorpresa, ma è lì. Dobbiamo pensarci sempre alla felicità e anche se lei qualche volta si dimentica di noi, noi non ci dobbiamo mai dimenticare di lei,  fino all’ultimo giorno della nostra vita.
E non dobbiamo avere paura nemmeno della morte, guardate che è più rischioso nascere che morire, eh! Non bisogna avere paura di morire, ma di non cominciare mai a vivere davvero. Saltate dentro l’esistenza ora, qui, perchè se non trovate niente ora, non troverete niente mai più. E allora dobbiamo dire sì alla vita, dobbiamo dire un sì talmente pieno alla vita, che sia capace di arginare tutti i no perchè non sappiamo niente, non ci si capisce niente, ma si capisce solo che c’è un gran mistero che bisogna prenderlo com’è e lasciarlo stare. La cosa che fa piu impressione al mondo è la vita che va avanti e non si capisce come faccia. Ma come fa? Come fa a resistere? Come fa a durare così? E’ un altro mistero e nessuno lo ha mai capito, perchè la vita è molto più di quello che possiamo capire noi, per questo devi resistere! Se la vita fosse solo quello che capiamo noi, sarebbe finita già da tanto, tanto tempo… e noi lo sentiamo, lo sentiamo che da un momento all’altro ci potrebbe capitare qualcosa di infinito… e allora a ognuno di noi non rimane che una cosa da fare….. inchianarsi

 

Essere una squadra – Ogni maledetta domenica

al-pacinoSarà che oggi è il 1° maggio, quel 1° maggio che tanto dovrebbe significare in questa Italia dilaniata nella dignità di chi le nega il lavoro. Sarà che questo 1° maggio cade in una giorno chiamato domenica, un giorno che da sempre è il giorno sportivo, il giorno delle squadre, il giorno della famiglia, il giorno del gruppo. Ma chi è disposto a essere davvero parte di un gruppo? Chi ha chiaro il concetto che lottare per e in un gruppo significa lottare per se stessi? Chi non si tira indietro, se non quando è il piccolo quadrato della terra che calpesta a essere messo in discussione? Quando accadrà davvero che lotteremo con il cuore e con i denti per far sì che ogni singolo diritto non ci venga negato? Abbiamo spostato l’attenzione sul superfluo e per quel superfluo siamo disposti a tutto. Abbiamo sentito l’esigenza di dimenticarci chi siamo per cercare di essere come tutti gli altri, dimenticando tutto al mondo, tutto, soprattutto chi siamo nella nostra individualità, cosa vogliamo, in cosa crediamo. Quello che ci rendeva felici è diventato stupido e ci siamo sentiti obbligati a svenderci, a svendere persino il nostro modo di pensare. Chi è arrivato a farlo, si è davvero piegato a un comune modo di essere o ha semplicemente mostrato la sua vera natura? Per cosa? Chi ha fatto questa scelta, può davvero dirsi felice, oggi? O era più felice quando continuava a soffrire sognando, lottando, sperando? Abbiamo iniziato a dimenticare chi siamo, a barattare la nostra dignità con il piacere fine a se stesso, con il piacere effimero, la visibilità, l’amicizia di convenienza, l’amore a prezzo scontato, l’apparente mulino bianco che cela l’inquisizione silente di tanti piccoli peccatori. E poi? Dove siamo noi? Dov’è quella squadra?

Quella squadra non c’è. Quella squadra muore ogni volta che qualcuno lascia la propria terra e ne parla vergognandosene. Quella squadra muore ogni volta che chiamiamo vittoria la strana soddisfazione che proviamo segnando un solitario punto a nostro favore, nella convinzione di avere denigrato qualcun’altro che altri non è se non chi saremo noi, in un’altra partita, in un altro gioco, in un’altra gara in cui, continuando così, giocheremo con l’anima sporca e con l’anima sporca, si sa, non si vince mai davvero

Lascio la parola al discorso tratto dal film Ogni Maledetta Domenica:

“Non so cosa dirvi davvero non so cosa dirvi davvero
tre minuti alla nostra più difficile sfida professionale
tutto si decide oggi
ora noi…
o risorgiamo come squadra
o cederemo un centimetro alla volta
uno schema dopo l’altro fino alla disfatta
siamo all’inferno adesso signori miei
credetemi…
e possiamo rimanerci farci prendere a schiaffi
oppure aprirci la strada lottando verso la luce
possiamo scalare le pareti dell’inferno
un centimetro alla volta
io però non posso farlo per voi
sono troppo vecchio
mi guardo intorno vedo i vostri giovani volti
e penso…
certo che…
ho commesso tutti gli errori che un uomo di mezza età possa fare
sì perchè io
ho sperperato tutti i miei soldi
che ci crediate o no
ho cacciato via
tutti quelli che mi volevano bene
e da qualche anno
mi dà anche fastidio la faccia che vedo nello specchio
sapete col tempo con l’età
tante cose ci vengono tolte
ma questo fa parte della vita
però tu lo impari
solo quando quelle cose le cominci a perdere
e scopri che la vita è un gioco di centimetri
e così è il football
perchè in entrambi questi giochi
la vita e il football
il margine d’errore è ridottissimo
capitelo
mezzo passo fatto un po’ in anticipo
o un po’ in ritardo
e voi non ce la fate
mezzo secondo troppo veloci o troppo lenti
e mancate la presa
ma i centimetri che ci servono sono dappertutto
sono intorno a noi
ce ne sono in ogni break della partita
a ogni minuto
a ogni secondo
in questa squadra si combatte per un centimetro
in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi
e tutti quelli intorno a noi per un centimetro
ci difendiamo con le unghie e con i denti
per un centimetro
perchè sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri
il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta
la differenza fra vivere e morire
e voglio dirvi una cosa
in ogni scontro
è colui il quale è disposto a morire
che guadagnerà un centimetro
e io so che se potrò avere un esistenza appagante
sarà perchè sono disposto ancora a battermi e a morire
per quel centimetro
la nostra vita è tutta li
in questo consiste
e in quei 10 centimetri davanti alla faccia
ma io non posso obbligarvi a lottare
dovete guardare il compagno che avete accanto
guardarlo negli occhi
io scommetto che ci vedrete un uomo determinato
a guadagnare terreno con voi
che ci vedrete un uomo
che si sacrificherà volentieri per questa squadra
consapevole del fatto che quando sarà il momento
voi farete lo stesso per lui
questo è essere una squadra signori miei
perciò o noi risorgiamo adesso
come collettivo
o saremo annientati individualmente
è il football ragazzi
è tutto qui
allora
che cosa volete fare?

Ogni maledetta domenica si può vincere o perdere
l’importante è vincere o perdere da uomini

Pietro Nenni – 9 febbraio 2016

Il 9 febbraio nasceva a 1891 nasceva a Faenza Pietro Nenni. Il politico italiano, colonna portante del Partito Socialista Italiano, si distinse in ogni momento della sua vita per il temperamento ribelle, che non taceva la voce di un pensiero perPietro_Nenni2sonale su ogni cosa. La ricerca del giusto si fece strada già dai tempi in cui, a causa della morte del padre, fu chiuso nell’orfanotrofio Maschi Opera Pia Cattani destando malumori per le scritte lasciate nei corridoi in cui esprimeva il suo sostegno all’anarchico Gaetano Bresci, che il 29 luglio del 1900 aveva attentano fatalmente alla vita di Umberto I di Savoia. Il giovane Nenni riuscì a trovare impiego in una fabbrica di ceramiche, ma l’incarico non durò molto. Egli fu infatti licenziato per avere partecipato a uno sciopero di agricoltori, evento che comportò anche l’espulsione dall’orfanotrofio.

Definito dai più, un giornalista pacifista, Nennì aderì al Partito Repubblicano Italiano partecipando alle proteste contro la guerra italo – turca e dividendo un periodo di prigionia con Benito Mussolini.

Interviste A colloquio con Pietro Nenni - Cinecittà Luce

Storicamente da non dimenticare è l’anno 1919, durante il quale Pietro Nenni fondò il primo Fascio di Combattimento di Bologna. Risale al 1921 invece, l’abbandono del Partito Repubblicano per aderire al Partito Socialista Italiano, in un momento politico delicato che vedeva la scissione tra comunisti e socialisti.

Il suo schieramento gli comportò la persecuzione dal regime mussoliniano, soprattutto dopo il 1926, anno in cui fondò il settimanale Il Quarto Stato. La sua precaria situazione politica lo portò all’esilio in Francia proprio nel momento in cui in Italia il movimento fascista sostenuto dall’appoggio della monarchia, sopprimeva tutti i movimenti di opposizione, sopprimendo quindi il Partito Socialista Italiano.

Nenni non tradì mai le sue convinzioni politiche, ricoprendo la carica di segretario per quattordici anni, fino al 1945. Fu confinato a Ponza, ma alla caduta di Mussolini fu liberato e insieme a Sandro Pertini e Giuseppe Saragat diede vita al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria.

Disse di lui Oriana Fallaci: “Sarebbe stato uno splendido presidente della Repubblica, e ci avrebbe fat2to bene averlo al Quirinale. Ma non glielo permisero, non ce lo permisero. I suoi amici prima ancora dei suoi nemici”

“Senza democrazia e senza libertà tutto si avvilisce, tutto si corrompe, anche le istituzioni sorte dalle rivoluzioni proletarie, anche la trasformazione, da privata a sociale, della proprietà dei mezzi di produzione e di scambio che dell’economia socialista è pur sempre la condizione principale, ma nell’etica socialista è pur sempre il mezzo e non il fine, il fine essendo la liberazione dell’uomo da ogni forma di oppressione e di sfruttamento”
Pietro Nenni, Mondo Operaio, 1955

pietro nenni 125 anni
Targa sulla casa natale di Pietro Nenni in occasione dei 125 anni dalla nascita – Foto tratta da http://www.faenzanotizie.it/articoli/2016/02/07/deposta-una-targa-sulla-casa-natale-di-pietro-nenni.html
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