Il conforto arriva come necessità. Resta latente per un tempo infinito, grida dentro, da qualche parte, là… nell’anima. Confonde, dilania, esalta, è un attimo, solo un istante, un bisogno primitivo. Chi può darci conforto? Chi è la chiave? Chiunque può esserlo. Dovunque puoi trovarlo. Una madre, un amico, un amore; ma se l’amore è conforto, allora diventa sublime, si esalta a un livello superiore, un livello che diventa incanto, l’incanto di due persone che si completano, si desiderano, si supportano, due persone che crescono, si scontrano, si fanno del male, si fanno del bene, nel tentativo di cercarlo quel conforto, quell’equilibrio. Un’intesa empatica, che detta il ritmo del cuore di due persone, tanto unite da essere una cosa sola, tanto uniche da essere due in uno
Adesso sono certa della differenza tra prossimità e vicinanza eh, è il modo in cui ti muovi in una tenda in questo mio deserto
Una tenda nel deserto, un movimento nuovo che sa di casa, sa di vita, sa di conforto. Non esistono regole, è solo un sentirsi, un riconoscersi, un esserci, sempre.
Sarà che piove da luglio il mondo che esplode in pianto
Sarà che non esci da mesi sei stanco e hai finito i sorrisi soltanto
Il desiderio diventa necessità, il conforto rompe le barriere, spalanca le porte, libera la tristezza, la lascia là fuori, nel mondo, da qualche parte
Per pesare il cuore con entrambe le mani mi ci vuole un miraggio Quel conforto che
Ha che fare con te quel conforto che ha che fare con te per pesare il cuore con entrambe le mani ci vuole coraggio
Ogni parola sarebbe superflua, Il Conforto parla dritto al cuore, diventa melodia, si sublima in emozione suprema, si fonde nell’ascolto, nell’abbraccio dei sue protagonisti e, in quell’abbraccio, genera conforto per ognuno di noi, per chiunque lo abbia trovato, per chiunque lo stia ancora cercando, per chiunque senta in questa musica la speranza che quel conforto, là fuori, esiste per tutti
Piper è uno dei cortometraggi della Pixar che nessuno dovrebbe perdere. Chiunque in questa vita ha avuto paura di qualcosa e, ancora peggio, ha vissuto qualcosa che gli ha lasciato addosso il ricordo della paura: un’esperienza, un fallimento, un sogno infranto, una risposta che non aspettavamo, una caduta più brutta delle altre. Tutti. Ognuno di noi. Il piccolo protagonista di questo cortometraggio ha paura del mare e, dal mare, si tiene a debita distanza. Resta solo, al sicuro, lontano da quella schiuma, da quei cavalloni, dall’infrangersi di qualcosa che gli altri non sembrano temere. Poi si prende di coraggio. È un attimo. L’onda lo travolge, lasciandogli addosso ancora più paura di prima. Che abbia sbagliato a provare? Oh, no! Assolutamente no. Chiunque provi nella vita, ha già vinto, anche se uno dei tanti tentativi gli lascia addosso tanta di quella paura, che si chiede perchè non sia stato così furbo da starsene al sicuro, lontano dalla riva, dove niente potesse fargli del male. E allora la vita che cos’è? Che vita è se non tentiamo, se non ci spingiamo oltre, se non tremiamo così tanto dalla paura, tanto da sembrare bloccati, fermi, immobili? Arriva un momento nella vita in cui ci chiediamo quale sia il nostro posto del mondo e, che ci crediate o no, c’è un senso nella vita di ognuno di noi. Quel senso si trova proprio là, al di là della paura. Non importa quando riuscirete a superarla. Non importa quando sentirete di potercela fare. La vita è il momento in cui attraversiamo qualcosa armati di coraggio. Ma non dovrete mai perdere la speranza, perchè anche se una volta arrivati a destinazione arrivati a destinazione, sentiremo di avere trovato la risposta sbagliata, saremo sempre in tempo a ripartire per un altro viaggio. Il viaggio è la meta e la vita, la vostra vita, è il viaggio attraverso la paura, armati di coraggio. L’importante è crederci sempre, non arrendersi mai, perchè non esistono persone più belle dei sognatori
Equilibrio di una danza sconosciuta,
riflette il sole di una notte chiamata luna.
Non si è mai abbastanza coraggiosi
per tentare l’impossibile.
Si accenda, dunque, la più delicata delle melodie.
Che ognuno riconosca il proprio passo,
ballando un solo tempo,
sognando senza timore
sulla corda sublime
del destino e dell’amore
Sospende l’attesa quel desiderio disteso al sole del nuovo giorno. Sorride ruffiana al piacere del mondo che la sfiora, che la cerca, che non la trova, non la trova mai. Cento colori, venti rubini, foglie d’autunno, riflessi sublimi. Tutto in un quadro, senza cornice, senza confini. Rosso del fuoco, giallo di tela, sfiorano gli occhi, sospira la sera. Verde d’un bosco, azzurro di speme, si accende l’autunno fra tutte le tele. Corre deciso, scivola sulle spalle… nude di vento, danzano come farfalle. Bronzo prezioso, oro sublime, scivola sull’olio, sul collo e sulle cime. L’argento sposa il bianco, proteggendolo come fosse stanco. Concerto di colori fra cento capolavori. E’ l’occhio sognatore, che cerca il nuovo albore. La trova… distesa sul’altare fra le mani di vernice, indecisa fra le pieghe del nuovo getto di colore. E’ una donna. E’ un bagliore. E’ un riflesso sulla tela. Si avvicina l’emozione. Si concede al desiderio di parlare con il tempo e, nel tempo, è un incanto quella bocca, fra le labbra è il paradiso. Un dipinto, solo un sogno, sul calare della sera. E è un incanto, di luce accesa, che nessuna forma cela, perchè lei, o amati occhi, è la regina della tela
Nuvole bianche scaldano l’inverno nuovo e si dimenticano di lei, sul ciglio del sole; abbandonata, libera, come senza vento, senza notte; bianca come il cielo di luce, che occhio umano non può vedere. La musica incalza e corre, corre senza passi. Non ha gambe, nè ali, solo piedi di vento. Sipoggia su di te, nuvola sospesa. E’ una musica sublime, senza tempo, nè confine. Si sposa al cuore, raccontando alle ferite, la saccenza di un amante che, testardo e innamorato, soffia forte su quel cuore, presuntuoso di risposte e soluzioni. Il giorno non è pieno e non è caldo, non è freddo e non è vuoto. Mezzogiorno leva il tempo del ricordo. Si ferma ancora il vento, lontano, incontrollato; ricaccia prepotente ogni nome e ogni niente. Si avvicina. Non la guarda, ma sospira e, lento, avanza. L’accarezza promettendole che niente sarà più solo ricordo, ma ha paura, lei, non sente. Non concede il suo respiro. Fugge ancora. Poi ci pensa, circondata da quel mezzo cielo bianco. Mezzogiorno è alto in cielo. Lento brucia ogni dolore. La corteggia. Non si arrende, ma lei fugge sorridendo. Forse è presto, si distende. Io ti salvo, lui risponde. Un profumo di bambagia. Una nuvola che soffia, fra le vesti, prepotente. È l’amore, che sorprende e non si arrende che combatte anche il passato, lo combatte col presente. Ogni angolo smussato, dai dolori levigato, si concede in un istante a quel sogno, finalmente. In un attimo è leggera, una nuvola anche lei, fra le nuvole, anche lei… Tutto sfiora la sua pelle. Non c’è veste, nè materia; la memoria è leggera e, nel cielo, si fa sera. Non la lascia. Non la perde. Lui la ama. Lei lo sente. Chiude gli occhi. Sente il tempo, le rincorse, le risate e ogni attimo è certezza. Cielo, monte, mare e ambrosia. Si trasforma in un istante… poi incanto… e promesse… e sorrisi sulla pelle. Lei non teme più il passato. Si distende sul dolore, nasce il giorno e il nuovo fiato. Seni, liberi e ruffiani, nel disegno complicato che dal monte fino a valle, sfiora e scivola sul ventre e, ubriaco di sapore, lascia entrare primavera, che schiudendosi all’amore, si concede alla delizia, al concerto dell’intesa. Or distesi al nuovo sole, è un incanto, un incanto il loro amore
Il tempo passa e il problema fondamentale dell’umanità da 2000 anni è rimasto lo stesso: amarsi. Solo che ora è diventato più urgente, molto più urgente… e quando oggi sentiamo ancora ripetere che dobbiamo amarci l’un l’altro, sappiamo che ormai non ci rimane molto tempo. Ci dobbiamo affrettare, affrettiamoci ad amare. Noi amiamo sempre troppo poco e troppo tardi. Affrettiamoci ad amare, perchè al tramonto della vita saremo giudicati sull’amore, perchè non esiste amore sprecato e perchè non esiste un’emozione piú grande di sentire, quando siamo innamorati, che la nostra vita dipende totalmente da un’altra persona; che non bastiamo a noi stessi e che tutte le cose, ma anche quelle inanimate come le montagne, i mari, le strade, il cielo, il vento, le stelle, le città, i fiumi, le pietre, i palazzi… tutte queste cose, che di per sè sono vuote, indifferenti, improvvisamente quando le guardiamo si caricano di significato umano e ci affascinano, ci commuovono… e perchè? Perchè contengono un presentimento d’amore. Anche le cose inanimate. Perchè il fasciame di tutta la creazione è amore e perchè l’amore combacia con il significato di tutte le cose: la felicità. Sì, la felicità.. e a proposito di felicità… Cercatela, tutti i giorni, continuamente… e anzi, chiunque mi ascolti ora, si metta in cerca della felicità ora, in questo momento stesso, perchè è lì, ce l’avete, ce l’abbiamo. Perchè l’hanno data a tutti noi. Ce l’hanno data in dono quando eravamo piccoli, ce l’hanno data in regalo, in dote ed era un regalo cosí bello che l’abbiamo nascosto, come fanno i cani con l’osso, quando lo nascondono; e molti di noi l’hanno nascosto cosí bene che non si ricordano piú dove l’hanno messo, ma ce l’avete, ce l’abbiamo. Guardate in tutti i ripostigli, gli scaffali, gli scomparti della vostra anima, buttate tutto all’aria: i cassetti, i comodini che avete dentro… vedrete che esce fuori, c’è la felicità. Provate a voltarvi di scatto, magari la pigliate di sorpresa, ma è lì. Dobbiamo pensarci sempre alla felicità e anche se lei qualche volta si dimentica di noi, noi non ci dobbiamo mai dimenticare di lei, fino all’ultimo giorno della nostra vita.
E non dobbiamo avere paura nemmeno della morte, guardate che è più rischioso nascere che morire, eh! Non bisognaavere paura di morire, ma di non cominciare mai a vivere davvero. Saltate dentro l’esistenza ora, qui, perchè se non trovate niente ora, non troverete niente mai più. E allora dobbiamo dire sì alla vita, dobbiamo dire un sì talmente pieno alla vita, che sia capace di arginare tutti i no perchè non sappiamo niente, non ci si capisce niente, ma si capisce solo che c’è un gran mistero che bisogna prenderlo com’è e lasciarlo stare. La cosa che fa piu impressione al mondo è la vita che va avanti e non si capisce come faccia. Ma come fa? Come fa a resistere? Come fa a durare così? E’ un altro mistero e nessuno lo ha mai capito, perchè la vita è molto più di quello che possiamo capire noi, per questo devi resistere! Se la vita fosse solo quello che capiamo noi, sarebbe finita già da tanto, tanto tempo… e noi lo sentiamo, lo sentiamo che da un momento all’altro ci potrebbe capitare qualcosa di infinito… e allora a ognuno di noi non rimane che una cosa da fare….. inchianarsi
C’era una volta, tanto tempo fa, una città distesa sul mare. Non c’era giorno in cui il sole abbandonasse il cielo, nè pomeriggio in cui la pioggia piangesse troppo a lungo sulle panchine, sulla gente e sulle barche. L’imperituro sole tornava prepotente, colorando la tela accesa di quel piccolo mondo. Il tramonto sposava la pioggia senza che il vento lasciasse i colori del rosa, dell’arancio e della passione, distesi sugli abitanti di quella vecchia città
Fu proprio in uno di quei pomeriggi di aprile che la nostra storia ha inizio. Qualcuno, ai bordi della strada, suonava una musica al pianoforte e il cielo piangeva delicato, muovendo il vento, suo complice, nell’attesa del prossimo sole Lucilla era convinta che niente accadesse per caso. Per questo motivo, continuava a camminare cercando il coraggio di incrociare tutti i segnali che la vita le mostrava, con la voglia di viverla quella vita, di viverla davvero… o così credeva, fino a quel momento, fino a quella sera… la sera in cui ha inizio la nostra storia. Lucilla aveva tante paure, troppe paure, ma sorrideva, sognava e non piangeva, non piangeva mai
Anche Marco camminava solitario lungo la stessa strada. Lui, paure, non ne aveva e se ne aveva, non le mostrava mai. Tutti pensavano di conoscerlo, ma pochi sapevano davvero chi fosse. Conoscevano la sua risata, ma non il suo sorriso, conoscevano il colore scuro della sua giacca nera, ma non quello che nascondeva. Guardavano la sua vita in mezzo a tante altre persone, ma non sapevano quanto si sentisse solo. Lui non era stanco, non era mai stanco di essere stanco. Aveva il sonno composto di chi non conosceva la notte per riposare e continuava a camminare per la sua strada perchè, nonostante tutto quello che accadeva, i colori di quel mondo, lui, li conosceva bene… o così credeva, così credeva fino a quella sera, la sera in cui ha inizio la nostra storia
C’era un ponte alla fine di quella strada. Nè Lucilla nè Marco pensavano che i ponti fossero stati messi al mondo per essere attraversati, per regalare la meraviglia di scoprire cosa ci fosse dall’altra parte. Quella sera il destino un ponte l’aveva messo: alla fine della strada di Marco, all’inizio della strada di Lucilla. E l’aveva fatto così, il destino, senza chiedere permesso. Non aveva suggerito loro di attraversarlo, nè di seguire quella strada, ma li aveva preparati. In tutte le notti trascorse li aveva immersi nei sogni che presto, avrebbero svelato il sublime significato, poichè il destino lo sapeva bene che un sogno non è mai solo un sogno; un sogno è la lingua rossa della vita che ci ricorda chi siamo, che ci insegna chi essere per tornare ad appartenerci davvero. La lingua rossa ci ridà il sapore dell’amore, il gusto della passione, la vita e il colori che, spesso, di giorno, non riusciamo a vedere. Fu così che attraversarono quel ponte. Quella sera. Lo attraversarono
In un attimo fu delizia e stupore. Si trovarono in mezzo a tutti coloro che attraversavano lo stesso ponte, loro… si trovarono. Non fu facile per gli altri capire come potesse essere possibile riconoscersi senza essersi mai visti, ma a Lucilla e Marco non interessava. Lei aveva paura, lui aveva coraggio per lei. Lui aveva paura, lei aveva coraggio per lui. La gente continuava a guardarli e, con fastidio, gli passava accanto cercando di fare ombra a quella luce… a tutta quella luce
Era tardi, troppo tardi. Nessuno può comandare la luce, quando nasce per volontà divina, qualunque sia la natura del divino che comanda l’amore. Le lingue verdi del sospetto e dell’inganno, continuavano a camminare vigliacche accanto a loro, ma loro non potevano udirle, non potevano udire null’altro che il sublime incanto della pelle colorata dal cuore. Liberi al di là dello spazio e del tempo, l’uno nutrito dal tocco dell’altra, dal respiro, dalla presenza, dal suono delicato di ogni parola. Lei continuava ad avere paura, lui a darle coraggio. Lui continuava ad avere paura, lei a dargli coraggio. Avrebbero voluto smettere di avere paura e riuscire a vivere senza quelle ombre del passato, senza le ferite, le parole dimenticate, i sogni non realizzati, e continuarono a tentare… ancora… ancora… ancora
Era sublime trovarsi, ogni volta. Al tramontare di ogni sole, Lucilla e Marco si ritrovavano senza usare labbra per proferire o mani per costruire, poichè ogni cosa era ingegno del sublime e incanto di un’alchimia che li consumava, nutrendoli. Lui le baciava le labbra, ricordandole tutto quello che era stata e promettendole, col suo tocco, tutto quello che sarebbe diventata. Lei gli stringeva i fianchi, attaccandosi a quella vita. Stringeva forte, per paura di cadere, per non ferirsi ancora… e stringeva così, in quel punto in cui il resto del mondo non sapeva più dove finisse l’uno e iniziasse l’altro
Sapevano che il loro tempo consumava i giorni e dilatava le attese di quelle parole che, ancorandoli al mondo, avrebbero dovuto unirli per sempre, ma non si chiedevano niente. Danzavano quando fuori pioveva e non avevano paura di tornare su quel ponte, di affrontare la pioggia, di ridere e ballare sotto quelle lacrime, convinti che nessuna pioggia avrebbe potuto raffreddare il loro amore. L’estasi del sublime non conosceva materia e nessuno riusciva a capire cosa potesse legare due persone che consideravano diverse, ma che erano simili più di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare, poichè non è diverso cioè che è dissimile, diverso è il diverso suono di due anime. Lei aveva paura, lui ebbe paura di darle coraggio. Lui aveva paura, lei ebbe paura di dargli coraggio
Il rumore fuori si fece forte, fastidioso, prepotente e ogni persona di quel villaggio fece di tutto per chiudere quel ponte, sapendo che il passaggio della paura avrebbe reso il passo degli uomini impossibile, allontanandoli dal desiderio di attraversarlo, dalla voglia di scoprire e unirsi a quello che c’era dall’altra parte. Il compito delle lingue verdi era facile, complice della paura che ogni uomo porta dentro di sè e che, non credendo in se stesso, potrebbe nuocergli fino al punto di non riuscire più a sentire il proprio cuore. Fu così che il sublime si inginocchiò alla paura, dividendo le loro strade. Lei aveva paura, lui non le avrebbe dato coraggio. Lui aveva paura, lei non gli avrebbe dato coraggio.
In solitario dolore ella restò a osservare il mare, ricordando il breve tempo trascorso insieme a lui, incapace di spiegare al mondo come potesse essere possibile che pochi giorni superassero tutti gli altri tempi, le distanze e i millenari viaggi degli altri amori. Sarebbe stato impossibile spiegarlo, ma così era nel suo cuore e, sebbene fosse convinta che niente potesse opporsi al destino, Lucilla sapeva che in quella fine c’era tutto l’amaro delle parole non dette, della leggerezza di un’assenza di paura che, lei, non aveva mai avuto. Adesso aveva paura. Non c’era lui a darle coraggio
Marco non era mai stato bravo a ricordare. Lui accendeva la musica, la forte musica che cavalcava il tempo, che non aveva distanze e, sì, forse nonostante tutto anche quella musica apriva una porta mai chiusa, ricordandole di lei, della sua pelle, del rossore che la infiammava ogni volta che la sfiorava, del sorriso che riempiva la stanza dei suoi occhi e di quello sguardo che gli dava il riflesso di una parte di sè. Non lo faceva spesso, non lasciava ai ricordi il potere di consumare i giorni. Aveva promesso a se stesso che avrebbe continuato a viverla quella vita, sempre, nonostante tutto, anche lì, nelle mani vuote che chiedevano di lei. Anche lì, nei corpi di tutte le donne che accompagnavano le sue notti, sui seni, sulle bocche, fra le gambe che non avrebbero lasciato ricordi. Aveva ancora paura. Non c’era lei a dargli coraggio
Ma la vita ha una sola vela al comando di ogni respiro e, quella vela, quella vela chiamata destino, non poteva separarli senza avvalersi del complice vento che in ogni altro corpo e in ogni altre labbra avrebbe ricordato a Lucilla e Marco qualcosa di quel piccolo amore, di quei pochi giorni, quell’amore che così forte sembrava attaccato alle radici del cuore. Il sole continuò a sorgere, a tramontare… ancora… ancora… ancora, fino a che gli anni passarono e inconsapevoli di ogni altra cosa, giunsero al tramonto di un nuovo aprile. Lei l’aveva sognato, senza avere paura. Lui l’aveva sognata, senza avere paura
Lucilla si svegliò una mattina con un’unica certezza: la lingua rossa d’amore che aveva rivisto durante i sogni di quelle notti, non poteva essere stata un caso. Nessuna lingua verde avrebbe potuto capire, poichè chi porta il veleno e l’angustia nel cuore, non potrà mai sentire cosa cela la purezza stessa della parola amore e, osteggiandola, denigrandola e combattendola nella menzogna, la lingua verde non si accorge che essa stessa contribuisce a renderla immortale scoperchiando ogni vaso, liberando tutti i venti al richiamo dell’immortale sentire. Raggiunse una sponda senza ponte, si stese un’altra notte ancora, sognando la costruzione di un brillante nuovo ponte e lo sognò con tanto impegno, che al suo risveglio cento pittori disegnarono un ponte, là dove non c’era più memoria triste delle acque perdute. Dimenticò la paura, ebbe coraggio. Marco immaginò di ritrovarla al di là del ponte. Si ritrovò a camminare lungo quella sponda e decise, in pochi attimi, decise: lo avrebbe attraversato. Se qualcuno in una notte aveva costruito il disegno di quel ponte, lui sarebbe riuscito ad attraversarlo, sì, l’avrebbe fatto. Dimenticò la paura, ebbe coraggio
Ritrovarsi in un respiro. Osservarsi, poi cercarsi. Non fuggire, non staccarsi, non pensare di provarci. Non parlare, non sentire. Una gioia a mai finire. Era questo, dopo anni, quell’incontro del destino. Era un attimo, un’intesa, un ricordo e la pretesa di riavere in un secondo tutti i soli di quegli anni e le lune delle notti… e le stelle… e le montagne, le parole, le distanze, tutte quelle chiuse stanze. Ora c’erano le porte, spalancate, divorate dal quel tocco tanto atteso, cancellando dal suo seno le distanze mai esistite, nel respiro prepotente di quel tocco e del presente
Cento vite e una sola. Certo lingue e mille occhi. Tutti insieme e mai nessuno. Solo un fiume di racconti, di scoperte, di dolori. Tutto il filo del destino si dipana come vino sopraffino e al palato innamorato svela e scopre ogni inganno malcelato, ogni pagina di vita, verde sporco di antica invidia e levando il sipario svela ai due protagonisti ogni trama e colpo basso, che li ha resi tristi e vinti. Ogni cosa adesso è chiara. Ogni gesto mal riposto, ogni croce di delizia che, ruffiana nei dolori, ha svelato a lor signori, fra la gente, i bravi attori
Lucilla e Marco e il loro ponte, quella vita e le sue trame. Sol chi segue il proprio cuore è padrone del destino, marinaio e vela insieme. Come monito di vita, che si levi ogni sipario, che la pelle tremi ancora e le lingue tanto odiate ricacciate, ritirate nelle tane rinnegate. Or frustrate, prigioniere, nell’alcova del silenzio di una bocca, a non proferir parola, se non mosse dall’amore, gentilezza sopraffina di una vita che non sconta e non declina sotto il peso dell’inganno. E’ un fardello la congiura, che non dà giustizia alcuna. Si può vivere in un castello, anche il più bello, ma non vinci mai la guerra se l’amore è ancora lì, nella stanza sua più bella
Sarà che oggi è il 1° maggio, quel 1° maggio che tanto dovrebbe significare in questa Italia dilaniata nella dignità di chi le nega il lavoro. Sarà che questo 1° maggio cade in una giorno chiamato domenica, un giorno che da sempre è il giorno sportivo, il giorno delle squadre, il giorno della famiglia, il giorno del gruppo. Ma chi è disposto a essere davvero parte di un gruppo? Chi ha chiaro il concetto che lottare per e in un gruppo significa lottare per se stessi? Chi non si tira indietro, se non quando è il piccolo quadrato della terra che calpesta a essere messo in discussione? Quando accadrà davvero che lotteremo con il cuore e con i denti per far sì che ogni singolo diritto non ci venga negato? Abbiamo spostato l’attenzione sul superfluo e per quel superfluo siamo disposti a tutto. Abbiamo sentito l’esigenza di dimenticarci chi siamo per cercare di essere come tutti gli altri, dimenticando tutto al mondo, tutto, soprattutto chi siamo nella nostra individualità, cosa vogliamo, in cosa crediamo. Quello che ci rendeva felici è diventato stupido e ci siamo sentiti obbligati a svenderci, a svendere persino il nostro modo di pensare. Chi è arrivato a farlo, si è davvero piegato a un comune modo di essere o ha semplicemente mostrato la sua vera natura? Per cosa? Chi ha fatto questa scelta, può davvero dirsi felice, oggi? O era più felice quando continuava a soffrire sognando, lottando, sperando? Abbiamo iniziato a dimenticare chi siamo, a barattare la nostra dignità con il piacere fine a se stesso, con il piacere effimero, la visibilità, l’amicizia di convenienza, l’amore a prezzo scontato, l’apparente mulino bianco che cela l’inquisizione silente di tanti piccoli peccatori. E poi? Dove siamo noi? Dov’è quella squadra?
Quella squadra non c’è. Quella squadra muore ogni volta che qualcuno lascia la propria terra e ne parla vergognandosene. Quella squadra muore ogni volta che chiamiamo vittoria la strana soddisfazione che proviamo segnando un solitario punto a nostro favore, nella convinzione di avere denigrato qualcun’altro che altri non è se non chi saremo noi, in un’altra partita, in un altro gioco, in un’altra gara in cui, continuando così, giocheremo con l’anima sporca e con l’anima sporca, si sa, non si vince mai davvero
Lascio la parola al discorso tratto dal film Ogni Maledetta Domenica:
“Non so cosa dirvi davvero non so cosa dirvi davvero
tre minuti alla nostra più difficile sfida professionale
tutto si decide oggi
ora noi…
o risorgiamo come squadra
o cederemo un centimetro alla volta
uno schema dopo l’altro fino alla disfatta
siamo all’inferno adesso signori miei
credetemi…
e possiamo rimanerci farci prendere a schiaffi
oppure aprirci la strada lottando verso la luce
possiamo scalare le pareti dell’inferno
un centimetro alla volta
io però non posso farlo per voi
sono troppo vecchio
mi guardo intorno vedo i vostri giovani volti
e penso…
certo che…
ho commesso tutti gli errori che un uomo di mezza età possa fare
sì perchè io
ho sperperato tutti i miei soldi
che ci crediate o no
ho cacciato via
tutti quelli che mi volevano bene
e da qualche anno
mi dà anche fastidio la faccia che vedo nello specchio
sapete col tempo con l’età
tante cose ci vengono tolte
ma questo fa parte della vita
però tu lo impari
solo quando quelle cose le cominci a perdere
e scopri che la vita è un gioco di centimetri
e così è il football
perchè in entrambi questi giochi
la vita e il football
il margine d’errore è ridottissimo
capitelo
mezzo passo fatto un po’ in anticipo
o un po’ in ritardo
e voi non ce la fate
mezzo secondo troppo veloci o troppo lenti
e mancate la presa
ma i centimetri che ci servono sono dappertutto
sono intorno a noi
ce ne sono in ogni break della partita
a ogni minuto
a ogni secondo
in questa squadra si combatte per un centimetro
in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi
e tutti quelli intorno a noi per un centimetro
ci difendiamo con le unghie e con i denti
per un centimetro
perchè sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri
il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta
la differenza fra vivere e morire
e voglio dirvi una cosa
in ogni scontro
è colui il quale è disposto a morire
che guadagnerà un centimetro
e io so che se potrò avere un esistenza appagante
sarà perchè sono disposto ancora a battermi e a morire
per quel centimetro
la nostra vita è tutta li
in questo consiste
e in quei 10 centimetri davanti alla faccia
ma io non posso obbligarvi a lottare
dovete guardare il compagno che avete accanto
guardarlo negli occhi
io scommetto che ci vedrete un uomo determinato
a guadagnare terreno con voi
che ci vedrete un uomo
che si sacrificherà volentieri per questa squadra
consapevole del fatto che quando sarà il momento
voi farete lo stesso per lui
questo è essere una squadra signori miei
perciò o noi risorgiamo adesso
come collettivo
o saremo annientati individualmente
è il football ragazzi
è tutto qui
allora
che cosa volete fare?
Ogni maledetta domenica si può vincere o perdere l’importante è vincere o perdere da uomini
Il 9 febbraio nasceva a 1891 nasceva a FaenzaPietro Nenni. Il politico italiano, colonna portante del Partito Socialista Italiano, si distinse in ogni momento della sua vita per il temperamento ribelle, che non taceva la voce di un pensiero personale su ogni cosa. La ricerca del giusto si fece strada già dai tempi in cui, a causa della morte del padre, fu chiuso nell’orfanotrofio Maschi Opera Pia Cattani destando malumori per le scritte lasciate nei corridoi in cui esprimeva il suo sostegno all’anarchico Gaetano Bresci, che il 29 luglio del 1900 aveva attentano fatalmente alla vita di Umberto I di Savoia. Il giovane Nenni riuscì a trovare impiego in una fabbrica di ceramiche, ma l’incarico non durò molto. Egli fu infatti licenziato per avere partecipato a uno sciopero di agricoltori, evento che comportò anche l’espulsione dall’orfanotrofio.
Definito dai più, un giornalista pacifista, Nennì aderì al Partito Repubblicano Italiano partecipando alle proteste contro la guerra italo – turca e dividendo un periodo di prigionia con Benito Mussolini.
Interviste A colloquio con Pietro Nenni - Cinecittà Luce
Storicamente da non dimenticare è l’anno 1919, durante il quale Pietro Nenni fondò il primo Fascio di Combattimento di Bologna. Risale al 1921 invece, l’abbandono del Partito Repubblicano per aderire al Partito Socialista Italiano, in un momento politico delicato che vedeva la scissione tra comunisti e socialisti.
Il suo schieramento gli comportò la persecuzione dal regime mussoliniano, soprattutto dopo il 1926, anno in cui fondò il settimanale Il Quarto Stato. La sua precaria situazione politica lo portò all’esilio in Francia proprio nel momento in cui in Italia il movimento fascista sostenuto dall’appoggio della monarchia, sopprimeva tutti i movimenti di opposizione, sopprimendo quindi il Partito Socialista Italiano.
Nenni non tradì mai le sue convinzioni politiche, ricoprendo la carica di segretario per quattordici anni, fino al 1945. Fu confinato a Ponza, ma alla caduta di Mussolini fu liberato e insieme a Sandro Pertini e Giuseppe Saragat diede vita al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria.
Disse di lui Oriana Fallaci: “Sarebbe stato uno splendido presidente della Repubblica, e ci avrebbe fat2to bene averlo al Quirinale. Ma non glielo permisero, non ce lo permisero. I suoi amici prima ancora dei suoi nemici”
“Senza democrazia e senza libertà tutto si avvilisce, tutto si corrompe, anche le istituzioni sorte dalle rivoluzioni proletarie, anche la trasformazione, da privata a sociale, della proprietà dei mezzi di produzione e di scambio che dell’economia socialista è pur sempre la condizione principale, ma nell’etica socialista è pur sempre il mezzo e non il fine, il fine essendo la liberazione dell’uomo da ogni forma di oppressione e di sfruttamento” Pietro Nenni, Mondo Operaio, 1955
Ho passato gran parte della mia vita a fuggire da film che non avessero il lieto fine, ma a discapito del destino e del tempo, c’è stato un giorno in cui ho conosciuto le poesie di John Keats e da quel giorno una piccola parte di me è appartenuta a quell’universo, così fragile ed etereo, rappresentato dalla vita di Keats e dal microcosmo del suo sentire. Unapennasottile come un fiume quasi prosciugato, che riesce tuttavia a straripare in un mare che dà vita all’infinito che tratteneva in sè. Il filmBight Star è ambientato tra il 1818 al 1821. Sembrerebbero pochi anni, tuttavia lo spettatore arriverà alla fine del film con l’assoluta convinzione che un tempo così breve nel suo essere sublime non sarebbe barattabile con un’intera vita di attese. Conoscere il grande amore, sentire l’arte che hai nel cuore che trova finalmente la fonte di maggiore ispirazione, la sua musa, tanto da essere certo che nessun’altra strada sia possibile, tanto da essere certo che ogni tormentata domanda senza risposta, da quel momento in poi sarà più leggera da tenere nel cuore. Due protagonisti semplici, così puri tanto da regalare a quella semplicità un respiro infinito. Ed è lo stesso respiro che vi darà coraggio, che vi aiuterà a credere, a sperare, a sapere per certo che mai nella vita bisognerà barattare la dignità di un sentimento, con la comodità di condizioni di comodo che nulla hanno a che vedere con il cuore. Ed è lì che io vi invito, a immergevi nelle campagne intorno a Londra, dove muove l’inizio di questa pellicola straordinaria. Lo spettatore conosce la figura della giovane Fanny Brawne primogenita di una famiglia benestante. Diversamente dalle sue coetanee, Fanny vede il mondo a modo suo disegnando abiti che riesce a cucire e a indossare sfidando i costumi del tempo. Vicini di casa dei Brawne sono Charles Brown, facoltoso poeta, e il giovane e povero John Keats, amico e ospite di Brown. Il giovane poeta non ha famiglia e l’unico fratello rimasto in vita è gravemente malato di tisi. John Keats conoscerà Fanny eresterà attratto dalla natura forte e allo stesso tempo delicata di una donna tanto brillante da diventare la sua Fulgida Stella. La giovane ragazza ricambia l’interesse del poeta, cadendo in un amore che, dapprima sospirato come il sospetto di un tumulto, trova costante nutrimento nella poesia e nella sublime alchimia che legherà i due protagonisti per sempre. Affascinata da quel modo di sentire il mondo, Fanny decide di prendere lezioni di poesia direttamente da Keats.
Un tumulto di eventi, dalla morte del fratello di Keats fino all’aggravarsi delle condizioni dello stesso, porteranno i due protagonisti alla consapevolezza che pur distanti, l’amore non cessa di nutrirli e, al contrario, li ubriaca di una mancanza che dà a entrambi un tormento, che può essere placato solo dalla presenza. “Quando non mi dà sue notizie è come se fossi morta, è come se l’aria mi venisse risucchiata dai polmoni e mi sento desolata, mentre quando ricevo una lettera so che il nostro mondo è vero.. è il solo di cui m’importi”
In conclusione non potrei scrivere niente che superi in bellezza la visione del film. Mi sento tuttavia di dirvi un’ultima cosa, quello che credo voglia lasciarci questa storia… un’unica e sola consapevolezza: tenete stretti i ricordi del cuore e sognatene di nuovi, poichè la delicatezza del sublime vince tutto resto, regalandoci l’incanto di avere un senso in questa vita. Non siamo null’altro che ciò che abbiamo nel cuore
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