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Il Fantasma Bianco

La leggenda narra di un fantasma bianco, che vaga alla ricerca di ciò che non è più. Un amore impossibile, alla ricerca di se stesso. Un velo bianco identifica un’anima leggera, ostinata nella ricerca di ogni lacrima che si perde nel vento. È questa la storia che da anni, e per generazioni, si racconterà. La leggenda del fantasma bianco, prima realtà per occhi che non hanno mai creduto, porto di arrivo per coloro che nel sogno hanno continuato a vagare senza meta, rivelazione per te, che adesso stai leggendo la sua storia.

Io Confesso – Racconto

Respiro un canto nuovo in questa città perduta nella sua storia.
Fra il rosso del loro sangue si è accesa la tua luce.
Non importa che il sole tramonti stanotte,
l’imperituro sole della verità non morrà

lei1“Vittoria! Lui è uno di loro. E’ la pedina fondamentale”. L’uomo che mi aveva generata era il complice della strage del giudice Giannola. Allo stesso modo era stato coinvolto nell’omicidio di Paolo, il più caro amico di Giovanni, giornalista morto in cerca di una verità che aveva trovato. Non avevo mai conosciuto un ragazzo che sognasse di fare il giornalista così come lo sognava Paolo, ma la sua sfortuna era stata la ricerca della verità fra le mura di un convento, là dove la verità stessa era soffocata per mai essere svelata. Frate Germano, vicario del Convento di San Patrizio di Cutanò, aveva mosso negli ultimi anni il braccio oscuro della chiesa, che nel fango e nell’ingiustizia si era stretto ai signori di Cutanò, perché non è mai esistita mafia che non si sentisse benedetta da Dio. Cerco di tornare alla realtà e continuo sui miei passi.
Piazza Vittorio Veneto è un tripudio di colori. Alzo lo sguardo e in prospettiva scorgo la maestosa figura della Statua della Libertà che sembra mescolarsi confusa ai panni stesi sui balconi, affacciati come fronde di cemento su questo grande cerchio.
Tremo. Ho paura. Tentenno.
Conto i passi fra la gente senza mettere a fuoco nessuno dei loro visi. Il mio obiettivo è quello di raggiungere il Palazzo delle Aquile, dove fra un’ora si riunirà il consiglio comunale. Una volta là consegnerò la mia verità. Mio padre è lì e non immagino neanche che cosa proverà quando mi vedrà arrivare. E’ strano… adesso che sto per raggiungerlo non ricordo neanche il suo viso. Il pensiero di Giovanni affolla la mia mente dandomi conforto: il suo odore, il suo sapore, la forza delle sue mani che non mi hanno più lasciata ed eccola: lo sguardo si posa sulla lapide in memoria di Piersanti Mattarella dove per la prima volta ci siamo conosciuti. Sorrido mentre il mio passo tentenna. Sarei stata felice di avere la certezza di sorridere accanto a lui per tutta la vita piuttosto che quello cui stiamo andando incontro? Oh, non che non lo sarei stata, ciò che abbiamo vissuto anche per brevi attimi vale il conto dell’eternità.
lei2L’asfalto che in prospettiva brucia, sembra diventare di ghiaccio non appena conosce i miei passi. Un maestoso scalpitio di cavalli sulla cima del Teatro Politeama mi fa rendere conto che sono arrivata quasi in via Ruggero Settimo, la strada che ospita lo studio dell’avvocato Gittoni, caro amico di famiglia.
“Avvocato carissimo”
Un uomo con dei pantaloni rossi e dall’accento di provincia mi dà le spalle mentre abbraccia proprio l’avvocato Gittoni, salutandolo a pochi metri da me.
Quello che vedo mi gela il sangue
Vittoria non cedere adesso
Non è possibile che sia così. Ci deve essere un errore.
Tremo.
Quello è lo stesso uomo che si trovava nel casolare di Cutanò, quando hanno deciso di uccidere Paolo. Se loro due si conoscono significa che l’avvocato sa chi è questa gente. Ed è lo stesso uomo che abbiamo visto uscire dallo studio del dottore Filangi, che si è occupato dell’autopsia del corso di Paolo. Mi ricordo che Giovanni mi disse che per via dei pantaloni rossi che indossava e della facilità con cui sparava la famiglia lo chiamava il Piombo rosso. Lo ricordo perché la parola piombo mi aveva subito fatto pensare ai proiettili e il rosso al sangue e…
“Vittoria, che ci fa lei qui?” L’avvocato mi sta salutando avanzando velocemente verso di me e sento di avere fatto un passo falso. Il piombo rosso si allontana accendendosi la sigaretta, ma sento che mi guarda, che sa chi sono, che cerca me. Ha un ghigno che non so decifrare e si ferma sotto i portici.
“Avvocato, salve.”
“Venivate da me?” mi sorride, ma avverto la forzatura nel suo atteggiamento.
“Sì, certo, venivo da lei”
“Ne ero sicuro, venga con me”
Il mio sangue gela.
“Vittoria…” ripete con un sorriso fra i denti. “Non le dispiace se salgo anche io vero?”
Sento i suoi passi dietro di me lungo le scale antiche che stiamo per salire, tutto intorno a me sembra offuscato.
“Si accomodi”
“Avrei bisogno del bagno un istante, se non vi dispiace” sorrido mostrandomi improvvisamente calma. So benissimo che il bagno si trova vicino alla porta d’ingresso mentre lo studio dell’avvocato è l’ultima porta in fondo al corridoio. L’uomo con i pantaloni rossi guarda l’avvocato insospettito ma mi lasciano andare.
Il bagno, lo specchio, l’odore nauseante della vaniglia che si mescola con la muffa delle persiane di legno, le spalanco lentamente. La grondaia è solida e la tettoia del pianterreno è un alluminio che di certo riuscirà a sopportare i miei 47 chili. Tiro fiato e salgo sul davanzale non c’è nessuno nel punto luce del grande palazzo antico.
“Vittoria, va tutto bene? La stiamo aspettando” Mi sento chiamare da dietro. Riesco a scendere con difficoltà, sono quasi arrivata quando la scia di un gatto rimbomba nelle mie orecchie facendomi perdere l’equilibrio. Tentenno. Sto per cadere, ma riesco finalmente ad arrivare a terra. Mi pulisco le mani sui jeans e mi accorgo di lasciare una macchia di sangue: la mia mano destra ha un taglio profondo e mi guardo intorno per essere sicura che nessuno mi abbia visto. Non posso perdere tempo, la mia è una lotta, una corsa, una fuga e per nessuna di queste cose viene concesso del tempo in più.
“Che fa? Se ne va già via senza salutare?” Perdo ogni forza: il piombo rosso è davanti a me e sorride fra i denti mentre si avvicina a me prendendomi per un polso. “L’avvocato ci tiene alla buone maniere”.
La sua presa è forte e mi gira quasi il polso strattonandomi verso di lui, fino sopra le scale. Con mio stupore dopo i primi tre gradini del portone non saliamo le scale, ma prendiamo la rampa che scende.
Apre con una mano la porticina che ci porta in una specie di cantina con tante porte e richiude la porta dietro di sé. Per un attimo penso che anche io, esattamente come Paolo vedrò la fine con i miei stessi occhi e dentro di me penso a Giovanni e al fatto che non potrò più salutarlo, che ho fallito e che nessuno saprà mai la verità, ma non posso avere paura io non devo…
Apre una di quelle porte e mi butta dentro come se fossi un sacco di cui si deve liberare. Prende una corda e mi lega i polsi dietro la schiena.
lei 3Dal giorno in cui ho scoperto la vera natura di mio padre ho iniziato un cammino parallelo per rendermi per scoprire fino a che punto fosse sporca la sua vita e lui aveva scoperto il mio legame con Giovanni, figlio primogenito del capo del mandamento di Cutanò. E’ a lui che penso mentre l’uomo mi soffoca la bocca con dello scotch. Giovanni era stato cresciuto con le regole di una famiglia d’onore, soffocando da sempre quella volontà di tirarsi fuori, di vivere, di ricominciare seguendo quello che sentiva di essere dentro.
“Puoi farlo” gli avevo detto un giorno.
“Una mela marcia caduta da un albero non potrà mai diventare rosa” mi aveva risposto.
“Ma io sento il profumo di quella rosa”
“Lo so…” mi aveva accarezzato il viso baciandomi “è per questo che io sono qui”

***

I ricordi si spezzano non appena l’uomo esce sbattendo la porta dietro di sé. Mi guardo intorno e vedo solo buio. L’unica finestra che dovrebbe dare nel punto luce lascia filtrare una fioca ombra smorzata dalle persiane accostate. Non potrò mai arrivarci. Le mie lacrime bussano prepotenti ed io le lascio entrare. Cerco di muovermi e salto per vedere che altezza posso raggiungere, ma è troppo alta non riesco ad arrivarci. Sento la chiave che gira nuovamente nella porta e l’uscio si apre lentamente.

Regna il silenzio, i passi sono impercettibili, felpati, nascosti ma evidenti. La porta viene richiusa, ma non riesco a voltarmi. Sento un’essenza nell’aria, ma temo che la mia mente mi stia giocando brutti scherzi e non ci faccio più caso. Il sangue mi scorre lungo le dita e la corda stringe dietro la schiena. La persona si avvicina a me con una calma confusa e sento che mi prende per le spalle, con una presa leggera ma sicura, il suo odore è più forte, adesso lo riconosco, è lui.
“Vittoria” mi dice improvvisamente sottovoce. Sento come se il mio copro si rilassasse e rilascio il fiato che avevo trattenuto così a lungo. Voglio voltarmi, ma non riesco a controllare la mia reazione ed inizio a piangere. Averlo qui, accanto a me, di nuovo mi sembra un sogno, ma ho paura e so che non significa niente di buono, così ho paura e non mi volto.
Lui si china sulla mia testa mescolandosi ai miei capelli. Sento il suo respiro affannato e ho paura di chiedergli perché sia qui piuttosto che al sicuro.
“Voltati, ti prego” la sua è una preghiera e accompagna la sua richiesta ai movimenti del suo braccio che mi spingono dolcemente verso di lui, voltandomi. La stanza è buia perché la porta è richiusa e non possiamo vederci chiaramente, ma lui è il paradiso nell’inferno del mondo e anche lì lo riconosco. Si accorge dello scotch e si agita “Come stai?” Mi chiede mentre lentamente ma con decisione me lo tira via per liberarmi. Si accorge che sto piangendo. “Vittoria”
“Giovanni, perché sei qui? Te ne devi andare subito, mi hanno scoperta, se tu resti sarà finita per tutti e due, prendi il mio zainetto e fai tu quello che avrei dovuto fare io ti prego sei ancora in tempo..”
“Shhh…” mi prega quasi di non ricordargli la realtà, ma io continuo a supplicarlo.
“Il piombo rosso è qui, ma tu… aspetta, se tu sei qui significa che l’hai visto..” continuo a fare le mie congetture mentre taglia con un coltello le corde che legano i miei polsi e finalmente sono libera.
“Ma sei ferita… tu sei ferita fammi vedere…”
“Mi vuoi ascoltare? Giovanni sto parlando con te. Dimmi perché sei qui e fallo subito”
“Ti devo uccidere”
Resto in silenzio e nell’ombra trovo i suoi occhi che trovano i miei
“Non potevo restare da Padre Clemente mentre tu facevi tutto questo per noi da sola, così li ho chiamati”
“Tu sei impazzito”
“Ed ora sanno che sono dalla loro parte e sono io che devo ucciderti”
Mi prende le mani, guarda le mie ferite, se le porta alla bocca e le bacia dolcemente
“Giovanni guardami” sento che mi sta nascondendo qualcosa, temo di sapere cosa, ma a questo non voglio credere, non posso credere. “Lui… lo sa…” Apre i palmi delle mie mani e le bacia ancora “Lui lo sa…” continuo a ripetere confusa, stordita senza più il terreno sotto i piedi: mio padre ha ordinato di uccidermi. Cado in ginocchio, vittima delle mie emozioni.
“Non succederà, io non lo permetterò, ma non c’è tempo adesso per parlare, Vittoria vai adesso e continua la tua strada, devi arrivare fino a lì, te la senti ancora? Vittoria?”
“Si, io lo devo fare, ma che cosa gli dirai tu?”
“Lui e l’avvocato sono sopra. Adesso tu vai, al resto ci penso io”
“E dopo?”
“Stai tranquilla.” Mi bacia improvvisamente. “Non c’è tempo adesso, non c’è mai tempo per noi” continua a baciarmi mentre le sue braccia cingono i miei fianchi quasi soffocandomi lo sento tremare “…Io ti ho amata per le domanda che non mi hai fatto” continua a tremare “…ti ho amata perché mi hai fatto credere che c’era qualcos’altro che io potevo essere, che c’era un uomo che io potevo ancora diventare” scende lungo il mio collo e mi bacia mentre il suo respiro è affannato e sento la sua urgenza di respirarmi sempre con più forza. “ti ho amata perché hai baciato i miei peccati e mi hai reso per un attimo di nuovo un figlio del tuo Dio” solleva le sue braccia e le sue mani afferrano il mio viso e mi bacia stanco e tremante “Grazie” sussurra.
“Giovanni, vieni con me, ho paura che sia troppo tardi che tu… che io…”
“Esci, adesso” si avvicina alla porta e esce facendomi segno di seguirlo fino a che mi lascia continuare da sola.

***

Arrivo a Palazzo delle Aquile che l’ora è passata da un pezzo, ma i ragazzi di Addio Pizzo sono già lì a protestare, come avevano programmato.
Il mio petto si alza ritmicamente col battito del mio cuore e del mio respiro affannato. Arrivo in alto e apro la porta facendomi largo fra i pochi cittadini che stanno assistendo alla seduta del consiglio comunale.
“Vittoria che bello rivederti” Pietro Raimondi il cugino di una mia carissima amica è lì inaspettatamente con un blocco in mano.
“Ciao” sospiro senza ormai più fiato
“Tutto bene?”
“Non direi ma andiamo avanti, che ci fai qui tu?”
“La politica è la mia passione, non lo sapevi?”
Mentre continua a parlare cerco di avere il coraggio di guardare in faccia colui che sto cercando, ma prima di cercare il suo viso mi soffermo a guardare quella sala come non l’ho mai guardata.
Lapidi e lapidi che ricordano.

In memoria dei martiri della mafia caduti per il riscatto della nostra terra affinchè il loro sacrificio risuoni monito perenne alle coscienze e guidi l’operato di ciascuno nella difesa dei fondamentali diritti e della libertà dell’uomo contro la violenza e affinchè le future generazioni possano essere liberate da tante barbarie

Sento una sensazione strana, come se tutte quelle lapidi potessero parlare. Sono lapidi, ma io le sento respirare e parlare e gridare e mai la mia vita aveva conosciuto un’eco di pietra più penetrante.
Pio la torre.
Non sento il respiro.
Piersanti Mattarella.
Ancora meno respiro
“Vittoria stai bene?” mi chiede Pietro strattonandomi
Davide Giannola.
Il fiato finisce, improvvisamente
“Non te ne andare” rispondo a Pietro quasi poggiandomi su di lui. Un lacrima cresce mentre il mio sguardo non si stacca dalla lapide di Capaci.
“Scusa…”
“Scusa di cosa? E’ tutto ok stai tranquilla, ti accompagno fuori?”
“No, non parlo con te” rispondo quasi sussurrando mentre il mio sguardo non si stacca dalle lapidi delle stragi che Giovanni non è riuscito ad evitare. Si, colui che ami si è macchiato del peccato di non essere riuscito a dire di no. Era lui lì all’Addaura su quella barca la prima volta che avevano deciso di uccidere il giudice e ci è riuscito, ha potuto evitarlo, ma loro non possono sbagliare due volte. Adesso spero che sia in salvo, lui ha un’anima ed io l’ho perdonata.
Il mio sguardo si blocca quando vedo entrare dalla porta principale l’avvocato Gittoni. Mi nascondo istintivamente dietro Pietro per avere ancora un attimo. Stringo i denti, sento il mio essere un umano animale. Come un vibrato che dalle viscere della mia rabbia vorrebbero incendiare quella sala di tutte le mie lacrime liberandole in un grido singhiozzante e disperato che i denti cercano di stringere ancora. Perché è qui?
Dio stammi accanto e se sei in questa stanza chiudi gli occhi ti prego perché troppo è il dolore che ti abbiamo fatto patire. Abbiamo ucciso e continuiamo a uccidere dei tuoi figli, lo facciamo sotto i tuoi occhi e poi li ricordiamo, non guardare il sangue nauseante e vivido in questa stanza. Noi ti ringraziamo per qualcosa che va bene e ti malediciamo Dio! Si, noi ti malediciamo, commettendo il più grosso dei peccati noi ti malediciamo quando il male vince e la colpa per noi è tua.
Ma a te Papà santo chi chiede scusa?
Io cammino come sasso morente in un fiume disperso fatto di lacrime e sangue e, come parte di questo popolo che ti umilia io ti chiedo perdono.
Le voci al microfono ancora non le percepisco, ma torno subito alla realtà quando vedo che l’avvocato Gittoni sta parlando con lui. Ritrovo il mio coraggio e ricordo perché sono qui.
Smetto di tremare e mi scopro dalla copertura di Pietro
Il suo sguardo mi sta cercando. Il microfono si accende… la luce rossa dà la libertà di parola ed eccolo colui che siede.
Lei è qui. La sento. Inizia a baciare la mia pelle. Ne sento quasi l’odore, sebbene lei non esista nella materia.
Lei è qui ed io per la prima volta la vedo negli occhi umani che la rappresentano.
Eccola.
È lì.
La sento nelle sue parole.
Mi manca l’aria.
Sento il soffitto che mi soffoca nell’attimo stesso in cui mi accorgo di avere vissuto accanto a Lei per tutto questo tempo senza neanche rendermene conto, cresciuta e nutrita da Lei.
Io sono stata colei che Lei ha protetto.
Lei è un’amante gentile che si presenta quando hai bisogno di qualcosa di diverso arrivando a farti capire che Lei sia una cosa giusta.
Ma non per me.
E’ davanti ai miei occhi.
Si alza in piedi.
Non ho paura di guardarla.
Si è accorto che sono lì.
Una piccola esitazione e la sua voce ha una breve flessione. Mi guarda dritto negli occhi. Non sta guardando colei che credeva di vedere, oggi sta vedendo Vittoria, per la prima volta. Me ne accorgo. Se ne accorge..
Lei è qui, lo sento parlare è lui, in fondo alla sala, il più importante di tutti, la macchia di morte più brutta che potesse incrociare la mia vita: mio padre.
Due custodi mi guardano ed escono dalla sala, suppongo che stiano venendo verso di me.
“Andiamo” faccio segnale a Pietro che è ora di andare e esco il più velocemente possibile.
“Mi spiegherai prima o poi giusto?”
“Pietro non mi importa cosa mi succederà ma io devo solo gridare”
In piazza la manifestazione è al culmine. Mi fermo e srotolo il mio lenzuolo.
“Tieni” dico a Pietro che mi aiuta a srotolare
“Vittoria, ma che c’è scritto?”
Sorrido, mi sento libera. Non mi importa di morire, non importa di che ne sarà della mia vita, l’importante è solo che tutti sappiano la verità.
La gente resta a guardarmi sconvolta.
Ed eccola la mia confessione lì nero su bianco con nomi cognomi e date lì alla portata di tutto. La fermo in una parte della fontana delle vergogne e la srotolo tutta intorno. La mia scrittura, quella di Giovanni, la nostra verità.

Io confesso, Mahias è qui in questo palazzo.
Io confesso che una delle sue braccia sanguinarie siede sulla poltrona più grande, siede e governa in giacca e cravatta.
Io confesso che l’assassinio di Paolo Gioverni è stato deciso anche fra queste pareti
Io Vittoria Maccarella confesso che la mafia vive e si nutre e soccombe solo se qualcuno ha il coraggio di chiamarla per nome.
Ed io sono qui per darle il suo nome.
Fernando Maccarella, mio padre.
Sto per muovermi quando lo vedo: il Piombo rosso è lì e si fa strada fa la gente camminando dall’altro lato della strada. Se loro mi hanno raggiunta fino a qui questo significa che hanno scoperto tutto o che non si sono fidati di lui o che Giovanni…

Uno dei ragazzi della manifestazione si guarda con gli altri ma nessuno può avere la percezione del rumore di uno sparo.
E’ silenzioso, muto, delicato, ma penetra il mio corpo e spenta, muta e pallida mi ripiego sulle mie ginocchia.
Il mio sorriso non muore, perché il mio compito è svolto, io potrò fermare il mio respiro, ma le mie parole sono state scritte e una sola persona che oltre me le leggerà le renderà eterne.
“Vittoriaaa” sento gridare da Pietro disperatamente mentre mi accascio in ginocchio.
Il ragazzo in fondo alla strada ha letto, quello accanto a lui anche, la ragazza con la sciarpa rossa è insieme a loro e così quella dietro e quella dopo ancora.

Respiro un canto nuovo in questa città perduta nella sua storia.
Fra il rosso del loro sangue si è accesa la tua luce.
Non importa che il sole tramonti stanotte,
l’imperituro sole della verità, sorto dalle tua labbra non morrà

Qualsiasi riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale. Nomi e dettagli sono frutto della fantasia