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Lucia Bonelli – Il mio mondo

Viviamo in un mondo in cui tutti giudicano gli scrittori ponendoli su gradini fragili di scale di valore inesistenti, io sono sempre stata per la libertà. Amo i romanzi, i fumetti, i mattoni da novecento pagine. Amo la passione, l’eros, ma anche la delicatezza, la profondità, il non detto, il descrittivo o l’immaginario, il rosa tanto denigrato e la narrativa per bocche sapienti. Non esiste giudizio che renda la scrittura più o meno degna, esistono solo una bella scrittura e una scrittura meno forte nello stile, ma il genere lasciatelo alle dita, all’anima e agli occhi. Un lettore sarà sempre un lettore, che legga il più acceso degli Harmony o il più contorto dei saggi. Non sarete mai liberi come scrittori o come lettori, se non avrete il coraggio di leggere tutto quello che vi va, quando vi va. Libri, taccuini, penne, matite, persone, sorrisi. Dietro ogni libro c’è qualcuno che non si è arreso, e qualcun altro che si potrà salvare grazie alla sua storia.  Dovesse finire il mondo, probabilmente avrei ancora della carta bianca da qualche parte; qualche parola di troppo, forse molte non dette, ma di sicuro avrò dentro tutta la speranza che mi porta a pensare che un mondo in cui si scrive e si legge ancora, è ancora un mondo che si può salvare.

Scrivere è un po’ salvarsi la vita e, io, lo faccio ogni giorno. Ogni giorno un po’ di più.

Dove puoi trovarmi

Se potessi parlarti di me

Una commedia romantica che nasce sulle note delicate di un destino qualunque. Quante volte abbiamo deciso di sottostare al destino che sembra esserci concesso? Quante volte, invece, abbiamo deciso di sfidarlo quel destino, e prenderci la vita che abbiamo sempre sognato? In un crescendo che parte dalle note ironiche di una commedia esilarante, Se potessi parlarti di me ci accompagna pagina dopo pagina nella vita di Clementina che decide di affrontare il suo ennesimo colloquio di lavoro più fiduciosa di quanto non abbia fatto nei suoi innumerevoli precedenti, miseramente falliti. Il destino cambia le carte in tavola e sembra volere farle sfuggire di nuovo l’occasione dalle mani. Stavolta non ci sta. Una vita trascorsa a rispettare le regole adesso chiede il conto. Clementina decide di cambiare tutto, ritrovandosi in una situazione che ha sempre sognato, ma che non le spetta. L’incontro con il Direttore Generale stravolge la sua vita. Tutti si affezionano a Clementina, ma nessuno in realtà conosce il suo vero nome

Giovanni Allevi – Su quella poltrona vuota, c’era l’infinito…

Due tempi. Un tempo. Il silenzio. Ritrovarsi davanti alla musica, così come ci si ritrova davanti a un Dio che non ha ragioni ma, nella ragione, ti restituisce il senso di ogni cosa. Giovanni Allevi, non dovrei aggiungere parole, perché non ce ne sarebbero. Serve anima e, quella, ce l’abbiamo tutti. Nascosta. Dimenticata, mai nuova, mai trapassata. L’anima. Tutti. Giovanni ha ricordato degli inizi, quando suonava davanti a non più di quindici persone e, quelle, erano la sua felicità. C’è stato un tempo in cui, il Giovanni già Compositore Allevi, ha visto una poltrona vuota e il cuore, in quel momento, ha perso un battito. Si è chiesto perché. Oggi, se fosse davanti a me, vorrei dirgli che su quella poltrona vuota c’era tutto, c’eravamo noi; c’erano quelli che non avevano materia per raggiungerlo; c’era l’estasi, la frenesia, la voglia ardente in cui il presente ammette il suo limite e,  in un acme esplode e diviene infinito. Nessun orecchio umano potrà tradurre in parole quello che la musica crea nei meandri di una percezione così microscopica da riuscire a divenire voce muta di quell’infinito. Ho ascoltato Tomorrow come se avessi ascoltato la voce di quel Dio che, in qualsiasi forma ognuno di noi gli dia nome, ha voluto accarezzare il genio, l’estro, la totale ammissione di arte eccelsa tra le mani, le costole rotte, il tremore, il sangue che l’occhio umano non vede tremare, ma che scuote la vita. Il destino non l’ha lasciata su quelle mani, strumento nello strumento; l’ha resa nostra, l’ha resa di tutti. Noi siamo stati infinito, su quella poltrona, da quella poltrona, con te lo saremo sempre. Grazie, Giovanni.

Domani, non ha senso che torni domani,
non ha senso se non so essere oggi.
Sono stanco. C’è un gesto che non controllo,
c’è un sangue infuocato che non gestisco.
Eppure, quella là fuori sembra l’alba… o, forse, è il tramonto?
È la fine del giorno o inizia?
Dormo, è giorno e sono vento.
Sono nuvola, pioggia o colore di alba accesa.
Ha bisogno di me. Il cielo ha bisogno di me perché, senza la mia presenza non sarebbe estasi,
non sarebbe incanto, non conoscerebbe il rosso interrotto che nuovamente diventerà celeste.
Che bella… che dolce l’armonia, io stesso mi sento poesia.
Non importa quanto.
Uno? Due? Cento? Io non sono il tempo.. io, l’ho messo sui tasti e lui, spavaldo e intenso, ha spazzato via il turbamento.
Adesso tremo ancora. Eppure, insieme a me, tremate tutti voi perché chi vive vibra, brucia, forse si spegne e geme sul tramonto, ma non si arrende perché c’è ancora una scintilla che sa di fiato che che, a questa vita, s’apprende.

Non smettiamo di essere luce

Poi la luce rompe la dimensione e diventa arcobaleno, diventa colore, diventa vita. Ti pieghi sul pavimento perché quella luce diventi anche la tua, perché ti tocchi, perché tu possa essere la prova che, da un singolo raggio, possano nascere tutti quei colori. È questa la rifrazione. La luce entra nel prisma e si divide in tutti i colori che la compongono, che ne fanno parte, anche quando non si vedono. La domanda è.. qual è la lunghezza d’onda? Chi è il prisma che ci permette di capire e scoprire tutti i colori di cui siamo fatti? È doloroso il prisma? È davvero così facile avere la forza di entrare, rompersi e ricomporsi? Misuriamo l’angolo di rifrazione.. di cosa è fatto? Di baci, di dolore, di ricompense e pene, di sospiri, di pianti, di incontri e addii; è fatto di silenzi che hanno generano così rumore da portarti al limite dell’esistenza; è fatto di carezze così tenaci da riportarti al di qua della vita. La rifrazione del tempo e dell’anima. Riusciamo a dividerci in tutti quei colori, ma abbiamo paura, perché sappiamo che quel prisma costa dolore e temiamo che quelle labili cicatrici che abbiamo dentro possano essere riaperte al solo avvicinarsi del prisma. Perché il mondo ha paura della luce? Perché il bene fa meno rumore del male? Vale la pena passare di nuovo da quel prisma? Sì. Fino all’ultimo dei nostri giorni varrà la pena desiderare e subire gli effetti del destino, senza inginocchiarci, senza perdere la speranza, senza smettere di pensare che possa esistere, nel mondo, chi vede oltre la forza granitica che mostri, scoprendo tutte le fragilità che ti hanno lasciato i tempi in cui sei stata tu la forza degli altri. Io non smetto di sfidare il prisma, perché vale la pena essere luce, trasformarmi, scoprire, sfiorare, vivere, perché tutto può cambiare.. L’indice di rifrazione dipende anche dall’aria e dal vetro, dunque ogni volta cambia, e cambi tu. Non possiamo sapere qualche angolo ci farà scoprire il ventaglio di colori di cui siamo fatti, ma, nel dubbio, non smettiamo di essere luce. E come si riesce a essere luce? Rinnegando il falso, combattendo per la verità, non stancandosi mai di pensare che, a discapito di tutte le cose che possiamo perdere, la scelta della verità sarà sempre la scelta migliore..
Platone diceva che possiamo perdonare un bambino quando ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce.. Dunque, non abbiate paura della luce e cercatela in ogni cosa perché persino le frasi omesse, le bugie e le maldicenze sono buio. Vivete, dunque, cercando di essere luce

La lingua rossa – Storia di un amore

QUIET TOWN di Leonid Afremov
QUIET TOWN di Leonid Afremov

C’era una volta, tanto tempo fa, una città distesa sul mare. Non c’era giorno in cui il sole abbandonasse il cielo, nè pomeriggio in cui la pioggia piangesse troppo a lungo sulle panchine, sulla gente e sulle barche. L’imperituro sole tornava prepotente, colorando la tela accesa di quel piccolo mondo. Il tramonto sposava la pioggia senza che il vento lasciasse i colori del rosa, dell’arancio e della passione, distesi sugli abitanti di quella vecchia città

RAIN PRINCESS di Leonid Afremov
RAIN PRINCESS di Leonid Afremov

Fu proprio in uno di quei pomeriggi di aprile che la nostra storia ha inizio. Qualcuno, ai bordi della strada, suonava una musica al pianoforte e il cielo piangeva delicato, muovendo il vento, suo complice, nell’attesa del prossimo sole Lucilla era convinta che niente accadesse per caso. Per questo motivo, continuava a camminare cercando il coraggio di incrociare tutti i segnali che la vita le mostrava, con la voglia di viverla quella vita, di viverla davvero… o così credeva, fino a quel momento, fino a quella sera… la sera in cui ha inizio la nostra storia. Lucilla aveva tante paure, troppe paure, ma sorrideva, sognava e non piangeva, non piangeva mai

PRETTY NIGHT di Leonid Afremov
PRETTY NIGHT di Leonid Afremov

Anche Marco camminava solitario lungo la stessa strada. Lui, paure, non ne aveva e se ne aveva, non le mostrava mai. Tutti pensavano di conoscerlo, ma pochi sapevano davvero chi fosse. Conoscevano la sua risata, ma non il suo sorriso, conoscevano il colore scuro della sua giacca nera, ma non quello che nascondeva. Guardavano la sua vita in mezzo a tante altre persone, ma non sapevano quanto si sentisse solo. Lui non era stanco, non era mai stanco di essere stanco. Aveva il sonno composto di chi non conosceva la notte per riposare e continuava a camminare per la sua strada perchè, nonostante tutto quello che accadeva, i colori di quel mondo, lui, li conosceva bene… o così credeva, così credeva fino a quella sera, la sera in cui ha inizio la nostra storia

THE BRIDGES OF AMSTERDAM di Leonid Afremov
THE BRIDGES OF AMSTERDAM di Leonid Afremov

C’era un ponte alla fine di quella strada. Nè Lucilla nè Marco pensavano che i ponti fossero stati messi al mondo per essere attraversati, per regalare la meraviglia di scoprire cosa ci fosse dall’altra parte. Quella sera il destino un ponte l’aveva messo: alla fine della strada di Marco, all’inizio della strada di Lucilla. E l’aveva fatto così, il destino, senza chiedere permesso. Non aveva suggerito loro di attraversarlo, nè di seguire quella strada, ma li aveva preparati. In tutte le notti trascorse li aveva immersi nei sogni che presto, avrebbero svelato il sublime significato, poichè il destino lo sapeva bene che un sogno non è mai solo un sogno; un sogno è la lingua rossa della vita che ci ricorda chi siamo, che ci insegna chi essere per tornare ad appartenerci davvero. La lingua rossa ci ridà il  sapore dell’amore, il gusto della passione, la vita e il colori che, spesso, di giorno, non riusciamo a vedere. Fu così che attraversarono quel ponte. Quella sera. Lo attraversarono

CENTRAL PARK di Leonid Afremov
CENTRAL PARK di Leonid Afremov

In un attimo fu delizia e stupore. Si trovarono in mezzo a tutti coloro che attraversavano lo stesso ponte, loro… si trovarono. Non fu facile per gli altri capire come potesse essere possibile riconoscersi senza essersi mai visti, ma a Lucilla e Marco non interessava. Lei aveva paura, lui aveva coraggio per lei. Lui aveva paura, lei aveva coraggio per lui. La gente continuava a guardarli e, con fastidio, gli passava accanto cercando di fare ombra a quella luce… a tutta quella luce

KISS OF PASSION di Leonid Afremov
KISS OF PASSION di Leonid Afremov

Era tardi, troppo tardi. Nessuno può comandare la luce, quando nasce per volontà divina, qualunque sia la natura del divino che comanda l’amore. Le lingue verdi del sospetto e dell’inganno, continuavano a camminare vigliacche accanto a loro, ma loro non potevano udirle, non potevano udire null’altro che il sublime incanto della pelle colorata dal cuore. Liberi al di là dello spazio e del tempo, l’uno nutrito dal tocco dell’altra, dal respiro, dalla presenza, dal suono delicato di ogni parola. Lei continuava ad avere paura, lui a darle coraggio. Lui continuava ad avere paura, lei a dargli coraggio. Avrebbero voluto smettere di avere paura e riuscire a vivere senza quelle ombre del passato, senza le ferite, le parole dimenticate, i sogni non realizzati, e continuarono a tentare… ancora… ancora… ancora

LAST KISS di Leonid Afremov
LAST KISS di Leonid Afremov

Era sublime trovarsi, ogni volta. Al tramontare di ogni sole, Lucilla e Marco si ritrovavano senza usare labbra per proferire o mani per costruire, poichè ogni cosa era ingegno del sublime e incanto di un’alchimia che li consumava, nutrendoli. Lui le baciava le labbra, ricordandole tutto quello che era stata e promettendole, col suo tocco, tutto quello che sarebbe diventata. Lei gli stringeva i fianchi, attaccandosi a quella vita. Stringeva forte, per paura di cadere, per non ferirsi ancora… e stringeva così, in quel punto in cui il resto del mondo non sapeva più dove finisse l’uno e iniziasse l’altro

MOMENT OF PASSION di Leonid Afremov
MOMENT OF PASSION di Leonid Afremov

Sapevano che il loro tempo consumava i giorni e dilatava le attese di quelle parole che, ancorandoli al mondo, avrebbero dovuto unirli per sempre, ma non si chiedevano niente. Danzavano quando fuori pioveva e non avevano paura di tornare su quel ponte, di affrontare la pioggia, di ridere e ballare sotto quelle lacrime, convinti che nessuna pioggia avrebbe potuto raffreddare il loro amore. L’estasi del sublime non conosceva materia e nessuno riusciva a capire cosa potesse legare due persone che consideravano diverse, ma che erano simili più di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare, poichè non è diverso cioè che è dissimile, diverso è il diverso suono di due anime. Lei aveva paura, lui ebbe paura di darle coraggio. Lui aveva paura, lei ebbe paura di dargli coraggio

l 19Il rumore fuori si fece forte, fastidioso, prepotente e ogni persona di quel villaggio fece di tutto per chiudere quel ponte, sapendo che il passaggio della paura avrebbe reso il passo degli uomini impossibile, allontanandoli dal desiderio di attraversarlo, dalla voglia di scoprire e unirsi a quello che c’era dall’altra parte. Il compito delle lingue verdi era facile, complice della paura che ogni uomo porta dentro di sè e che, non credendo in se stesso, potrebbe nuocergli fino al punto di non riuscire più a sentire il proprio cuore. Fu così che il sublime si inginocchiò alla paura, dividendo le loro strade. Lei aveva paura, lui non le avrebbe dato coraggio. Lui aveva paura, lei non gli avrebbe dato coraggio.

COPENHAGEN MERMAID di Leonid Afremov
COPENHAGEN MERMAID di Leonid Afremov

In solitario dolore ella restò a osservare il mare, ricordando il breve tempo trascorso insieme a lui, incapace di spiegare al mondo come potesse essere possibile che pochi giorni superassero tutti gli altri tempi, le distanze e i millenari viaggi degli altri amori. Sarebbe stato impossibile spiegarlo, ma così era nel suo cuore e, sebbene fosse convinta che  niente potesse opporsi al destino, Lucilla sapeva che in quella fine c’era tutto l’amaro delle parole non dette, della leggerezza di un’assenza di paura che, lei, non aveva mai avuto. Adesso aveva paura. Non c’era lui a darle coraggio

MUSIC FIGHT di Leonid Afremov
MUSIC FIGHT di Leonid Afremov

Marco non era mai stato bravo a ricordare. Lui accendeva la musica, la forte musica che cavalcava il tempo, che non aveva distanze e, sì, forse nonostante tutto anche quella musica apriva una porta mai chiusa, ricordandole di lei, della sua pelle, del rossore che la infiammava ogni volta che la sfiorava, del sorriso che riempiva la stanza dei suoi occhi e di quello sguardo che gli dava il riflesso di una parte di sè. Non lo faceva spesso, non lasciava ai ricordi il potere di consumare i giorni. Aveva promesso a se stesso che avrebbe continuato a viverla quella vita, sempre, nonostante tutto, anche lì, nelle mani vuote che chiedevano di lei. Anche lì, nei corpi di tutte le donne che accompagnavano le sue notti, sui seni, sulle bocche, fra le gambe che non avrebbero lasciato ricordi. Aveva ancora paura. Non c’era lei a dargli coraggio

l 26Ma la vita ha una sola vela al comando di ogni respiro e, quella vela, quella vela chiamata destino, non poteva separarli senza avvalersi del complice vento che in ogni altro corpo e in ogni altre labbra avrebbe ricordato a Lucilla e Marco qualcosa di quel piccolo amore, di quei pochi giorni, quell’amore che così forte sembrava attaccato alle radici del cuore. Il sole continuò a sorgere, a tramontare… ancora… ancora… ancora, fino a che gli anni passarono e inconsapevoli di ogni altra cosa, giunsero al tramonto di un nuovo aprile. Lei l’aveva sognato, senza avere paura. Lui l’aveva sognata, senza avere paura

EXPECTATIONS di Leonid Afremov
EXPECTATIONS di Leonid Afremov

Lucilla si svegliò una mattina con un’unica certezza: la lingua rossa d’amore che aveva rivisto durante i sogni di quelle notti, non poteva essere stata un caso. Nessuna lingua verde avrebbe potuto capire, poichè chi porta il veleno e l’angustia nel cuore, non potrà mai sentire cosa cela la purezza stessa della parola amore e, osteggiandola, denigrandola e combattendola nella menzogna, la lingua verde non si accorge che essa stessa contribuisce a renderla immortale scoperchiando ogni vaso, liberando tutti i venti al richiamo dell’immortale sentire. Raggiunse una sponda senza ponte, si stese un’altra notte ancora, sognando la costruzione di un brillante nuovo ponte e lo sognò con tanto impegno, che al suo risveglio cento pittori disegnarono un ponte, là dove non c’era più memoria triste delle acque perdute. Dimenticò la paura, ebbe coraggio. Marco immaginò di ritrovarla al di là del ponte. Si ritrovò a camminare lungo quella sponda e decise, in pochi attimi, decise: lo avrebbe attraversato. Se qualcuno in una notte aveva costruito il disegno di quel ponte, lui sarebbe riuscito ad attraversarlo, sì, l’avrebbe fatto. Dimenticò la paura, ebbe coraggio

LAST KISS 2 di Leonid Afremov
LAST KISS 2 di Leonid Afremov

Ritrovarsi in un respiro. Osservarsi, poi cercarsi. Non fuggire, non staccarsi, non pensare di provarci. Non parlare, non sentire. Una gioia a mai finire. Era questo, dopo anni, quell’incontro del destino. Era un attimo, un’intesa, un ricordo e la pretesa di riavere in un secondo tutti i soli di quegli anni e le lune delle notti… e le stelle… e le montagne, le parole, le distanze, tutte quelle chiuse stanze. Ora c’erano le porte, spalancate, divorate dal quel tocco tanto atteso, cancellando dal suo seno le distanze mai esistite, nel respiro prepotente di quel tocco e del presente

BURGER JOINT di Leonid Afremov
BURGER JOINT di Leonid Afremov

Cento vite e una sola. Certo lingue e mille occhi. Tutti insieme e mai nessuno. Solo un fiume di racconti, di scoperte, di dolori. Tutto il filo del destino si dipana come vino sopraffino e al palato innamorato svela e scopre ogni inganno malcelato, ogni pagina di vita, verde sporco di antica invidia e levando il sipario svela ai due protagonisti ogni trama e colpo basso, che li ha resi tristi e vinti. Ogni cosa adesso è chiara. Ogni gesto mal riposto, ogni croce di delizia che, ruffiana nei dolori, ha svelato a lor signori, fra la gente, i bravi attori

l riserva 1Lucilla e Marco e il loro ponte, quella vita e le sue trame. Sol chi segue il proprio cuore è padrone del destino, marinaio e vela insieme. Come monito di vita, che si levi ogni sipario, che la pelle tremi ancora e le lingue tanto odiate ricacciate, ritirate nelle tane rinnegate. Or frustrate, prigioniere, nell’alcova del silenzio di una bocca, a non proferir parola, se non mosse dall’amore, gentilezza sopraffina di una vita che non sconta e non declina sotto il peso dell’inganno. E’ un fardello la congiura, che non dà giustizia alcuna. Si può vivere in un castello, anche il più bello, ma non vinci mai la guerra se l’amore è ancora lì, nella stanza sua più bella

 

Quel non so che di affascinante

C’è sempre quel no1377478_709178319164221_4820616466609315240_nn so che di affascinante nella vita che ricomincia, nello sportello di una macchina che si chiude come a chiudere una pagina del destino. C’è sempre quel non so che di affascinante in una donna che sa piangere, sa ridere e, più di ogni altra cosa, c’è sempre quel non so che di affascinante nel caldo improvviso che ci ricorda che l’inverno è finito e che la primavera, prepotente e ruffiana, è tornata a colorare ogni piccola cosa, ogni piccola strada, ogni piccola vita

Sulla Riva del Destino

L’amore non si prova con i fatti, l’amore si prova con il cuore. I sentimenti non si dimostrano, si portano dentro. Se non ci sono non si possono creare, stimolare, pregare e anzi ti portano a chiederti se chi non ha capito ogni tuo giorno, ogni momento passato, sia davvero una persona che possa dire di conoscerti.  William Shakespeare diceva “Quando non c’è più rimedio è inutile addolorarsi, perché si vede ormai il peggio che prima era attaccato alla speranza”… E allora ti siedi, con una stanchezza mai provata prima e capisci che in certe cose la mente non potrebbe partorire nessuna idea che per quanto meravigliosa, possa davvero colpire il cuore. Ma Shakespeare ha ragione “Piangere sopra un male passato è il mezzo più sicuro per attirarsi nuovi mali”.

1545014_10152916399962722_1800990411252876396_nE ti chiedi quanto possa essere romantica e stupida la natura umana, poiché un atto d’amore può strappare solo un divertente sorriso là dove avrebbe dovuto strappare emozione e allora diventi geloso di ogni dimostrazione e cerchi dovunque quella chiave con cui l’avevi chiuso il cuore prima che la vita diventasse più forte della tua volontà e spalancasse nuovamente le tue porte. La cerchi. La ricerchi e non vedi l’ora di ritrovarla per proteggerti di nuovo. Ma poi non ti penti di niente e rubi ancora le parole di William per ricordare a te stesso che “Nulla è buono o malvagio in sé, è il pensiero che lo rende tale”. E allora sorridi, ti scrolli la stanchezza di dosso e capisci che la vita è troppo preziosa per inginocchiarsi agli altri destini…ed è ora di ricominciare davvero a camminare nelle tue scarpe, con la tua di anima e di cantare nuda sotto una pioggia d’estate mentre ridi e il mare a due passi da te ti invita
a nuotare come mai avevi fatto, convinta che non importa cosa perdiamo  lungo il percorso di quando siamo stati noi stessi, poiché è vero che nulla che ci appartenga davvero rischia di perdersi fra queste confuse pagine del destino.. Perché tu lo sai che per quanto dolore tu possa avere provato, in un attimo ci crederai di nuovo e accadrà non quando qualcuno smuoverà mari e monti per te, al contrario accadrà quando l’unica cosa che smuoverà sarà il tuo cuore, con un’eleganza, una passione e un rispetto che forse ancora,  fino ad oggi non hai mai conosciuto. E allora avrà smesso di piovere e uscendo dall’acqua troverai qualcuno ad aspettarti divertito. Qualcuno che ti avrà vista piangere, ridere, nuotare in quel mare pieno di tutti i tasselli del tuo destino. Imbarazzata cercherai di coprirti, ma lui sarà più attento ad ogni passo e ti offrirà un telo per ripararti e il suo calore per asciugarti e tu ripenserai al tuo amato Shakespeare e capirai che aveva ragione… e mentre inizierete a camminare insieme nell’inizio di una nuova vita, come se fosse musica tu ricorderai il suo sonetto più bello: “Non sia mai ch’io ponga impedimenti all’unione di anime fedeli; Amore non e’ Amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l’altro s’allontana.Oh no! Amore e’ un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;e’ la stella-guida di ogni sperduta barca,il cui valore e’ sconosciuto, benche’ nota la distanza.Amore non e’ soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane,ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo e’ errore e mi sara’ provato,Io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.”

50 Sfumature di Grigio – Cinema e Attesa

50sfumatureLa paura del flop è dietro l’angolo. La motivazione è un po’ una legge di vita: spesso le cose troppo attese sono le più deludenti, ma nella fattispecie potrebbe verificarsi l’effetto contrario. Potremmo ritrovarci nella situazione di chi ha pensato che il libro fosse scritto male, indecente, inutile (e via dicendo) e per questo si lasci impressionare positivamente dalla trasposizione cinematografica. D’altronde, se è vero che i film sono quasi sempre peggiori dei libri da cui sono tratti, dobbiamo statisticamente ammettere che è probabile che il film 50 Sfumature di Grigio sia molto, ma molto meglio del romanzo. Innanzitutto dalla sua parte la versione cinematografica ha la presenza di Jamie Dornan l’amato e compianto Cacciatore di Once Upon a Time. Ritrovarselo nel grande schermo credo sarà comunque una conquista. E.L. James, scrittrice e produttrice del film, sembra sia insoddisfatta in parte del risultato, considerando che i tagli siano stati eccessivi, cosa che personalmente preferirei perchè darebbero un taglio più normale alla storia che, parliamoci chiaro, non è poi così anormale. Ho sentito vere e proprie trasmissioni televisive con ospiti in studio che parlavano della pericolosità del sadomasochismo spinto presente in questa storia, le stesse persone che immagino non abbiano mai letto davvero neanche una pagina del libro. Il libro tratta la storia di un uomo,Fifty Shades of Grey Christian Grey che a causa di violenze subite da piccolo vive un rapporto perverso con l’amore, vedendo nella sottomissione sessuale femminile l’unica sua fonte di piacere. Bene. Adesso sappiate che comunque Anastasia Steele, giovane protagonista inesperta e piena di sogni, in realtà non accetterà mai di firmare nessun contratto che la veda ufficialmente sottomessa a nessuno e anzi, sarà proprio l’amore di Anastasia a salvare Christian Grey riportandolo verso un modo sano di vedere l’amore. Ma, si sa, la strada per raggiungere il lieto fine non è mai semplice e in questo caso Anastasia cercherà di entrare nel perverso mondo di Christian Gray sempre 50 ctenendosi un passo indietro, cercando di capire, cercando un motivo per cedere finalmente all’amore che sente per Christian, fino al punto di non ritorno, fino a quando sarà troppo e dirà STOP. Sarà uno stop importante, perchè grazie a questo, Christian capirà di stare per perdere Anastasia e quindi poco alla volta curerà tutte quelle sfumature che l’avevano reso quello che era. Ci siamo quindi, fra 24 ore uscirà in tutte le sale italiane il film diretto da Sam Taylor – Johson che ci permetterà di vedere Jamie Dornan e Dakota Jonson in quello che sicuramente rappresenta il film che li ha fatti imbarazzare di più. Alla prossima per la recensione post visione film

Io Confesso – Racconto

Respiro un canto nuovo in questa città perduta nella sua storia.
Fra il rosso del loro sangue si è accesa la tua luce.
Non importa che il sole tramonti stanotte,
l’imperituro sole della verità non morrà

lei1“Vittoria! Lui è uno di loro. E’ la pedina fondamentale”. L’uomo che mi aveva generata era il complice della strage del giudice Giannola. Allo stesso modo era stato coinvolto nell’omicidio di Paolo, il più caro amico di Giovanni, giornalista morto in cerca di una verità che aveva trovato. Non avevo mai conosciuto un ragazzo che sognasse di fare il giornalista così come lo sognava Paolo, ma la sua sfortuna era stata la ricerca della verità fra le mura di un convento, là dove la verità stessa era soffocata per mai essere svelata. Frate Germano, vicario del Convento di San Patrizio di Cutanò, aveva mosso negli ultimi anni il braccio oscuro della chiesa, che nel fango e nell’ingiustizia si era stretto ai signori di Cutanò, perché non è mai esistita mafia che non si sentisse benedetta da Dio. Cerco di tornare alla realtà e continuo sui miei passi.
Piazza Vittorio Veneto è un tripudio di colori. Alzo lo sguardo e in prospettiva scorgo la maestosa figura della Statua della Libertà che sembra mescolarsi confusa ai panni stesi sui balconi, affacciati come fronde di cemento su questo grande cerchio.
Tremo. Ho paura. Tentenno.
Conto i passi fra la gente senza mettere a fuoco nessuno dei loro visi. Il mio obiettivo è quello di raggiungere il Palazzo delle Aquile, dove fra un’ora si riunirà il consiglio comunale. Una volta là consegnerò la mia verità. Mio padre è lì e non immagino neanche che cosa proverà quando mi vedrà arrivare. E’ strano… adesso che sto per raggiungerlo non ricordo neanche il suo viso. Il pensiero di Giovanni affolla la mia mente dandomi conforto: il suo odore, il suo sapore, la forza delle sue mani che non mi hanno più lasciata ed eccola: lo sguardo si posa sulla lapide in memoria di Piersanti Mattarella dove per la prima volta ci siamo conosciuti. Sorrido mentre il mio passo tentenna. Sarei stata felice di avere la certezza di sorridere accanto a lui per tutta la vita piuttosto che quello cui stiamo andando incontro? Oh, non che non lo sarei stata, ciò che abbiamo vissuto anche per brevi attimi vale il conto dell’eternità.
lei2L’asfalto che in prospettiva brucia, sembra diventare di ghiaccio non appena conosce i miei passi. Un maestoso scalpitio di cavalli sulla cima del Teatro Politeama mi fa rendere conto che sono arrivata quasi in via Ruggero Settimo, la strada che ospita lo studio dell’avvocato Gittoni, caro amico di famiglia.
“Avvocato carissimo”
Un uomo con dei pantaloni rossi e dall’accento di provincia mi dà le spalle mentre abbraccia proprio l’avvocato Gittoni, salutandolo a pochi metri da me.
Quello che vedo mi gela il sangue
Vittoria non cedere adesso
Non è possibile che sia così. Ci deve essere un errore.
Tremo.
Quello è lo stesso uomo che si trovava nel casolare di Cutanò, quando hanno deciso di uccidere Paolo. Se loro due si conoscono significa che l’avvocato sa chi è questa gente. Ed è lo stesso uomo che abbiamo visto uscire dallo studio del dottore Filangi, che si è occupato dell’autopsia del corso di Paolo. Mi ricordo che Giovanni mi disse che per via dei pantaloni rossi che indossava e della facilità con cui sparava la famiglia lo chiamava il Piombo rosso. Lo ricordo perché la parola piombo mi aveva subito fatto pensare ai proiettili e il rosso al sangue e…
“Vittoria, che ci fa lei qui?” L’avvocato mi sta salutando avanzando velocemente verso di me e sento di avere fatto un passo falso. Il piombo rosso si allontana accendendosi la sigaretta, ma sento che mi guarda, che sa chi sono, che cerca me. Ha un ghigno che non so decifrare e si ferma sotto i portici.
“Avvocato, salve.”
“Venivate da me?” mi sorride, ma avverto la forzatura nel suo atteggiamento.
“Sì, certo, venivo da lei”
“Ne ero sicuro, venga con me”
Il mio sangue gela.
“Vittoria…” ripete con un sorriso fra i denti. “Non le dispiace se salgo anche io vero?”
Sento i suoi passi dietro di me lungo le scale antiche che stiamo per salire, tutto intorno a me sembra offuscato.
“Si accomodi”
“Avrei bisogno del bagno un istante, se non vi dispiace” sorrido mostrandomi improvvisamente calma. So benissimo che il bagno si trova vicino alla porta d’ingresso mentre lo studio dell’avvocato è l’ultima porta in fondo al corridoio. L’uomo con i pantaloni rossi guarda l’avvocato insospettito ma mi lasciano andare.
Il bagno, lo specchio, l’odore nauseante della vaniglia che si mescola con la muffa delle persiane di legno, le spalanco lentamente. La grondaia è solida e la tettoia del pianterreno è un alluminio che di certo riuscirà a sopportare i miei 47 chili. Tiro fiato e salgo sul davanzale non c’è nessuno nel punto luce del grande palazzo antico.
“Vittoria, va tutto bene? La stiamo aspettando” Mi sento chiamare da dietro. Riesco a scendere con difficoltà, sono quasi arrivata quando la scia di un gatto rimbomba nelle mie orecchie facendomi perdere l’equilibrio. Tentenno. Sto per cadere, ma riesco finalmente ad arrivare a terra. Mi pulisco le mani sui jeans e mi accorgo di lasciare una macchia di sangue: la mia mano destra ha un taglio profondo e mi guardo intorno per essere sicura che nessuno mi abbia visto. Non posso perdere tempo, la mia è una lotta, una corsa, una fuga e per nessuna di queste cose viene concesso del tempo in più.
“Che fa? Se ne va già via senza salutare?” Perdo ogni forza: il piombo rosso è davanti a me e sorride fra i denti mentre si avvicina a me prendendomi per un polso. “L’avvocato ci tiene alla buone maniere”.
La sua presa è forte e mi gira quasi il polso strattonandomi verso di lui, fino sopra le scale. Con mio stupore dopo i primi tre gradini del portone non saliamo le scale, ma prendiamo la rampa che scende.
Apre con una mano la porticina che ci porta in una specie di cantina con tante porte e richiude la porta dietro di sé. Per un attimo penso che anche io, esattamente come Paolo vedrò la fine con i miei stessi occhi e dentro di me penso a Giovanni e al fatto che non potrò più salutarlo, che ho fallito e che nessuno saprà mai la verità, ma non posso avere paura io non devo…
Apre una di quelle porte e mi butta dentro come se fossi un sacco di cui si deve liberare. Prende una corda e mi lega i polsi dietro la schiena.
lei 3Dal giorno in cui ho scoperto la vera natura di mio padre ho iniziato un cammino parallelo per rendermi per scoprire fino a che punto fosse sporca la sua vita e lui aveva scoperto il mio legame con Giovanni, figlio primogenito del capo del mandamento di Cutanò. E’ a lui che penso mentre l’uomo mi soffoca la bocca con dello scotch. Giovanni era stato cresciuto con le regole di una famiglia d’onore, soffocando da sempre quella volontà di tirarsi fuori, di vivere, di ricominciare seguendo quello che sentiva di essere dentro.
“Puoi farlo” gli avevo detto un giorno.
“Una mela marcia caduta da un albero non potrà mai diventare rosa” mi aveva risposto.
“Ma io sento il profumo di quella rosa”
“Lo so…” mi aveva accarezzato il viso baciandomi “è per questo che io sono qui”

***

I ricordi si spezzano non appena l’uomo esce sbattendo la porta dietro di sé. Mi guardo intorno e vedo solo buio. L’unica finestra che dovrebbe dare nel punto luce lascia filtrare una fioca ombra smorzata dalle persiane accostate. Non potrò mai arrivarci. Le mie lacrime bussano prepotenti ed io le lascio entrare. Cerco di muovermi e salto per vedere che altezza posso raggiungere, ma è troppo alta non riesco ad arrivarci. Sento la chiave che gira nuovamente nella porta e l’uscio si apre lentamente.

Regna il silenzio, i passi sono impercettibili, felpati, nascosti ma evidenti. La porta viene richiusa, ma non riesco a voltarmi. Sento un’essenza nell’aria, ma temo che la mia mente mi stia giocando brutti scherzi e non ci faccio più caso. Il sangue mi scorre lungo le dita e la corda stringe dietro la schiena. La persona si avvicina a me con una calma confusa e sento che mi prende per le spalle, con una presa leggera ma sicura, il suo odore è più forte, adesso lo riconosco, è lui.
“Vittoria” mi dice improvvisamente sottovoce. Sento come se il mio copro si rilassasse e rilascio il fiato che avevo trattenuto così a lungo. Voglio voltarmi, ma non riesco a controllare la mia reazione ed inizio a piangere. Averlo qui, accanto a me, di nuovo mi sembra un sogno, ma ho paura e so che non significa niente di buono, così ho paura e non mi volto.
Lui si china sulla mia testa mescolandosi ai miei capelli. Sento il suo respiro affannato e ho paura di chiedergli perché sia qui piuttosto che al sicuro.
“Voltati, ti prego” la sua è una preghiera e accompagna la sua richiesta ai movimenti del suo braccio che mi spingono dolcemente verso di lui, voltandomi. La stanza è buia perché la porta è richiusa e non possiamo vederci chiaramente, ma lui è il paradiso nell’inferno del mondo e anche lì lo riconosco. Si accorge dello scotch e si agita “Come stai?” Mi chiede mentre lentamente ma con decisione me lo tira via per liberarmi. Si accorge che sto piangendo. “Vittoria”
“Giovanni, perché sei qui? Te ne devi andare subito, mi hanno scoperta, se tu resti sarà finita per tutti e due, prendi il mio zainetto e fai tu quello che avrei dovuto fare io ti prego sei ancora in tempo..”
“Shhh…” mi prega quasi di non ricordargli la realtà, ma io continuo a supplicarlo.
“Il piombo rosso è qui, ma tu… aspetta, se tu sei qui significa che l’hai visto..” continuo a fare le mie congetture mentre taglia con un coltello le corde che legano i miei polsi e finalmente sono libera.
“Ma sei ferita… tu sei ferita fammi vedere…”
“Mi vuoi ascoltare? Giovanni sto parlando con te. Dimmi perché sei qui e fallo subito”
“Ti devo uccidere”
Resto in silenzio e nell’ombra trovo i suoi occhi che trovano i miei
“Non potevo restare da Padre Clemente mentre tu facevi tutto questo per noi da sola, così li ho chiamati”
“Tu sei impazzito”
“Ed ora sanno che sono dalla loro parte e sono io che devo ucciderti”
Mi prende le mani, guarda le mie ferite, se le porta alla bocca e le bacia dolcemente
“Giovanni guardami” sento che mi sta nascondendo qualcosa, temo di sapere cosa, ma a questo non voglio credere, non posso credere. “Lui… lo sa…” Apre i palmi delle mie mani e le bacia ancora “Lui lo sa…” continuo a ripetere confusa, stordita senza più il terreno sotto i piedi: mio padre ha ordinato di uccidermi. Cado in ginocchio, vittima delle mie emozioni.
“Non succederà, io non lo permetterò, ma non c’è tempo adesso per parlare, Vittoria vai adesso e continua la tua strada, devi arrivare fino a lì, te la senti ancora? Vittoria?”
“Si, io lo devo fare, ma che cosa gli dirai tu?”
“Lui e l’avvocato sono sopra. Adesso tu vai, al resto ci penso io”
“E dopo?”
“Stai tranquilla.” Mi bacia improvvisamente. “Non c’è tempo adesso, non c’è mai tempo per noi” continua a baciarmi mentre le sue braccia cingono i miei fianchi quasi soffocandomi lo sento tremare “…Io ti ho amata per le domanda che non mi hai fatto” continua a tremare “…ti ho amata perché mi hai fatto credere che c’era qualcos’altro che io potevo essere, che c’era un uomo che io potevo ancora diventare” scende lungo il mio collo e mi bacia mentre il suo respiro è affannato e sento la sua urgenza di respirarmi sempre con più forza. “ti ho amata perché hai baciato i miei peccati e mi hai reso per un attimo di nuovo un figlio del tuo Dio” solleva le sue braccia e le sue mani afferrano il mio viso e mi bacia stanco e tremante “Grazie” sussurra.
“Giovanni, vieni con me, ho paura che sia troppo tardi che tu… che io…”
“Esci, adesso” si avvicina alla porta e esce facendomi segno di seguirlo fino a che mi lascia continuare da sola.

***

Arrivo a Palazzo delle Aquile che l’ora è passata da un pezzo, ma i ragazzi di Addio Pizzo sono già lì a protestare, come avevano programmato.
Il mio petto si alza ritmicamente col battito del mio cuore e del mio respiro affannato. Arrivo in alto e apro la porta facendomi largo fra i pochi cittadini che stanno assistendo alla seduta del consiglio comunale.
“Vittoria che bello rivederti” Pietro Raimondi il cugino di una mia carissima amica è lì inaspettatamente con un blocco in mano.
“Ciao” sospiro senza ormai più fiato
“Tutto bene?”
“Non direi ma andiamo avanti, che ci fai qui tu?”
“La politica è la mia passione, non lo sapevi?”
Mentre continua a parlare cerco di avere il coraggio di guardare in faccia colui che sto cercando, ma prima di cercare il suo viso mi soffermo a guardare quella sala come non l’ho mai guardata.
Lapidi e lapidi che ricordano.

In memoria dei martiri della mafia caduti per il riscatto della nostra terra affinchè il loro sacrificio risuoni monito perenne alle coscienze e guidi l’operato di ciascuno nella difesa dei fondamentali diritti e della libertà dell’uomo contro la violenza e affinchè le future generazioni possano essere liberate da tante barbarie

Sento una sensazione strana, come se tutte quelle lapidi potessero parlare. Sono lapidi, ma io le sento respirare e parlare e gridare e mai la mia vita aveva conosciuto un’eco di pietra più penetrante.
Pio la torre.
Non sento il respiro.
Piersanti Mattarella.
Ancora meno respiro
“Vittoria stai bene?” mi chiede Pietro strattonandomi
Davide Giannola.
Il fiato finisce, improvvisamente
“Non te ne andare” rispondo a Pietro quasi poggiandomi su di lui. Un lacrima cresce mentre il mio sguardo non si stacca dalla lapide di Capaci.
“Scusa…”
“Scusa di cosa? E’ tutto ok stai tranquilla, ti accompagno fuori?”
“No, non parlo con te” rispondo quasi sussurrando mentre il mio sguardo non si stacca dalle lapidi delle stragi che Giovanni non è riuscito ad evitare. Si, colui che ami si è macchiato del peccato di non essere riuscito a dire di no. Era lui lì all’Addaura su quella barca la prima volta che avevano deciso di uccidere il giudice e ci è riuscito, ha potuto evitarlo, ma loro non possono sbagliare due volte. Adesso spero che sia in salvo, lui ha un’anima ed io l’ho perdonata.
Il mio sguardo si blocca quando vedo entrare dalla porta principale l’avvocato Gittoni. Mi nascondo istintivamente dietro Pietro per avere ancora un attimo. Stringo i denti, sento il mio essere un umano animale. Come un vibrato che dalle viscere della mia rabbia vorrebbero incendiare quella sala di tutte le mie lacrime liberandole in un grido singhiozzante e disperato che i denti cercano di stringere ancora. Perché è qui?
Dio stammi accanto e se sei in questa stanza chiudi gli occhi ti prego perché troppo è il dolore che ti abbiamo fatto patire. Abbiamo ucciso e continuiamo a uccidere dei tuoi figli, lo facciamo sotto i tuoi occhi e poi li ricordiamo, non guardare il sangue nauseante e vivido in questa stanza. Noi ti ringraziamo per qualcosa che va bene e ti malediciamo Dio! Si, noi ti malediciamo, commettendo il più grosso dei peccati noi ti malediciamo quando il male vince e la colpa per noi è tua.
Ma a te Papà santo chi chiede scusa?
Io cammino come sasso morente in un fiume disperso fatto di lacrime e sangue e, come parte di questo popolo che ti umilia io ti chiedo perdono.
Le voci al microfono ancora non le percepisco, ma torno subito alla realtà quando vedo che l’avvocato Gittoni sta parlando con lui. Ritrovo il mio coraggio e ricordo perché sono qui.
Smetto di tremare e mi scopro dalla copertura di Pietro
Il suo sguardo mi sta cercando. Il microfono si accende… la luce rossa dà la libertà di parola ed eccolo colui che siede.
Lei è qui. La sento. Inizia a baciare la mia pelle. Ne sento quasi l’odore, sebbene lei non esista nella materia.
Lei è qui ed io per la prima volta la vedo negli occhi umani che la rappresentano.
Eccola.
È lì.
La sento nelle sue parole.
Mi manca l’aria.
Sento il soffitto che mi soffoca nell’attimo stesso in cui mi accorgo di avere vissuto accanto a Lei per tutto questo tempo senza neanche rendermene conto, cresciuta e nutrita da Lei.
Io sono stata colei che Lei ha protetto.
Lei è un’amante gentile che si presenta quando hai bisogno di qualcosa di diverso arrivando a farti capire che Lei sia una cosa giusta.
Ma non per me.
E’ davanti ai miei occhi.
Si alza in piedi.
Non ho paura di guardarla.
Si è accorto che sono lì.
Una piccola esitazione e la sua voce ha una breve flessione. Mi guarda dritto negli occhi. Non sta guardando colei che credeva di vedere, oggi sta vedendo Vittoria, per la prima volta. Me ne accorgo. Se ne accorge..
Lei è qui, lo sento parlare è lui, in fondo alla sala, il più importante di tutti, la macchia di morte più brutta che potesse incrociare la mia vita: mio padre.
Due custodi mi guardano ed escono dalla sala, suppongo che stiano venendo verso di me.
“Andiamo” faccio segnale a Pietro che è ora di andare e esco il più velocemente possibile.
“Mi spiegherai prima o poi giusto?”
“Pietro non mi importa cosa mi succederà ma io devo solo gridare”
In piazza la manifestazione è al culmine. Mi fermo e srotolo il mio lenzuolo.
“Tieni” dico a Pietro che mi aiuta a srotolare
“Vittoria, ma che c’è scritto?”
Sorrido, mi sento libera. Non mi importa di morire, non importa di che ne sarà della mia vita, l’importante è solo che tutti sappiano la verità.
La gente resta a guardarmi sconvolta.
Ed eccola la mia confessione lì nero su bianco con nomi cognomi e date lì alla portata di tutto. La fermo in una parte della fontana delle vergogne e la srotolo tutta intorno. La mia scrittura, quella di Giovanni, la nostra verità.

Io confesso, Mahias è qui in questo palazzo.
Io confesso che una delle sue braccia sanguinarie siede sulla poltrona più grande, siede e governa in giacca e cravatta.
Io confesso che l’assassinio di Paolo Gioverni è stato deciso anche fra queste pareti
Io Vittoria Maccarella confesso che la mafia vive e si nutre e soccombe solo se qualcuno ha il coraggio di chiamarla per nome.
Ed io sono qui per darle il suo nome.
Fernando Maccarella, mio padre.
Sto per muovermi quando lo vedo: il Piombo rosso è lì e si fa strada fa la gente camminando dall’altro lato della strada. Se loro mi hanno raggiunta fino a qui questo significa che hanno scoperto tutto o che non si sono fidati di lui o che Giovanni…

Uno dei ragazzi della manifestazione si guarda con gli altri ma nessuno può avere la percezione del rumore di uno sparo.
E’ silenzioso, muto, delicato, ma penetra il mio corpo e spenta, muta e pallida mi ripiego sulle mie ginocchia.
Il mio sorriso non muore, perché il mio compito è svolto, io potrò fermare il mio respiro, ma le mie parole sono state scritte e una sola persona che oltre me le leggerà le renderà eterne.
“Vittoriaaa” sento gridare da Pietro disperatamente mentre mi accascio in ginocchio.
Il ragazzo in fondo alla strada ha letto, quello accanto a lui anche, la ragazza con la sciarpa rossa è insieme a loro e così quella dietro e quella dopo ancora.

Respiro un canto nuovo in questa città perduta nella sua storia.
Fra il rosso del loro sangue si è accesa la tua luce.
Non importa che il sole tramonti stanotte,
l’imperituro sole della verità, sorto dalle tua labbra non morrà

Qualsiasi riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale. Nomi e dettagli sono frutto della fantasia

Shiri Il Sandalo Spinato – Poesia Il Giorno della Memoria

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Un’origine maledetta,
che mi porta alla morte.
Uno stemma dentro al sangue,
che colore non ha più.

Questo è il mondo, cara gente
Questo è il mondo ed il suo niente.

Mente matta, sconcertante,
malattia per tanta gente.

Sei colore nella terra,
o colore nel tuo sangue?
Sei di gusto non accetto?
Sei ramingo per la terra?
Non fermarti in questa tenda,
perché posto qui non c’è.
Non cercare amore nuovo,
perché retto tu non sei.

Non gettare quella stella,
perché pelle essa non è,
nella macchia di una mente,
che la trova dentro te.

Legherai quella stella
Alla stoffa tua di vita.
Legherai quelle cifre
Come veste di una cipria,
che colore non ti dà.

Alla fine di ogni cosa,
pensi ancora
che un umano tu sarai?

Non è uomo ciò che grida
nella mente che non parla.

Non è uomo chi, qui, scalzo,
cerca l’anima di sé,
fra le grate assassine,
di un terreno per concime

Quel colore ha asciugato
la tristezza del respiro.
Quel colore ti ha segnato,
macchia e inferno nel tuo destino.

Non è uomo chi ha deciso.
Non è uomo chi ha compiuto.
Non è uomo chi ha taciuto.
Non è uomo chi è scappato.

E’ la morte la medaglia che io cerco,
per chiamare nella storia,
uomo degno chi è esistito?

Io non cerco premi o santi,
per lavare le tue colpe,
ma una nuova nave in porto
con il vento suo nel cuore.

Una nave che contenga
Quelle lacrime versate;
che contenga tutti i corpi,
che da qui sono passati;
Che lasciasse quel suo porto,
per disperdersi nel mare,
perché Dio e il suo timore,
non arrivano a tal male.

Perché zingaro, ebreo,
o diverso in ogni modo,
chi può dire nella vita,
di volerti uguale a sé?

E l’amore di una donna,
con la stella dentro al cuore,
lungo il nero di una chioma,
mai diversa nel colore.

Lui, diverso, senza macchia,
senza stelle, senza amore,
col diritto suo di vivere
senza stelle nel suo cuore

E i suoi occhi nella folla,
come un quadro da evitare
E i suoi occhi nella folla,
sono luce da preservare.

Una corsa disperata,
gesto unico d’amore.

Una donna allontanata
Dalla fonte sua d’amore.

Corri forte verso il vento,
perché l’uomo in questa terra
è il solo tuo tormento.

Fuggi via disperata,
nella strada illuminata.

“Lor Signori, sono qui
Ecco offro la mia carne
come stella che non ha,
ancor chiusa in quel petto,
che ha portato via con sé.

 “Sono ebreo, Lor Signori,
e prendetemi con voi.
Son la macchi di un peccato,
che peccato poi non è.”

Un cammino, una marcia,
e l’arrivo fino a lì,
dove il sole ha il colore
della terra che non c’è.
Dove cifra è la mia vita,
che cammina accanto a me,
salutando disperata,
quel suo pazzo proprietario,
che ha segnato la sua fine
per l’amore chiuso in sé.

Laverai le tue colpe,
col sapone di una vita,
che purezza non darà,
perché l’anima ha lasciato.

Soffocato morirai,
dalla cenere della vita,
che con l’ascia tua hai spezzato.

Morirai nel calore dell’Inferno,
di cui sei stato usciere,
accorgendoti che il tormento
ha dimora proprio lì,
oltre al cielo che ripudiasti,
oltre cielo che non guardasti,
oltre al cielo vigile custode
di una giustizia che non ha fine:
la salvezza di un eterno divenire.

Ma il tormento di un novello pentimento,
il suo posto non troverà,
perché fuoco è il tuo destino,
che la pace non avrà.

Maledetto peccatore,
quella vita che bruciasti,
in mille fuochi ti ritroverà.

Ma il mio cuore non ha pace
In questa terra,
perché tu sei ancora qui.

 Non sia mai,
che il ricordo fermi il monito di te.
Perché ancora quell’uomo gira
Intorno a questa terra.

Ancora quella mente nasce e cresce
In un odio disperato,
in un grido assassino.

Il ricordo non è dunque
sol tormento del passato
e salvezza del presente,
ma minaccia incombente,
di un futuro sconosciuto,
che nasconde chiuso in sé,
tutto ciò che è già successo,
e che ancora può aver vita.

 Mille lacrime di cristallo,
Mille spine maledette,
di una casa senza età.

E la mente sua che muore,
nella fiamma di una vita
che quegli occhi non possono accettare.

Un profumo delicato,
e le spine di quel filo
che ritornano alla vita,
liberando la sua anima.

Una donna e il suo dolore,
il suo uomo e il suo tormento
e la luce di due occhi
che si aprono alla vita

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